(09/2018) L’INVECCHIAMENTO NEL MONDO DEL LAVORO – RISCHIO DI GENERE

di Sergio Vianello e Stefania Chiesa

pubblicato su “Il Commerci@lista lavoro e previdenza”, settembre 2018

Diverse sono le definizioni per definire ciò che è inevitabile: “l’invecchiamento”; quella di seguito è molto tecnica anche se in quanto tale generalizzata.

“Processo biologico progressivo caratterizzato da cambiamenti che comportano per l’organismo una diminuzione progressiva e continua della capacità di adattamento all’ambiente, riduzione delle riserve funzionali d’organo e d’apparato e conseguentemente riduzione della capacità di sopravvivere ed una crescente probabilità di morire o un’aumentata fragilità”. (G. Ricci, 2013, in Schena F.)

Premesso che il fenomeno dell’ invecchiamento è sicuramente influenzato dalle caratteristiche fisiologiche del lavoratore, non si possono però trascurare gli altri parametri essenziali per renderlo intelligibile:

• la tipologia di attività svolta (alcune particolarmente usuranti, si pensi ad esempio ai lavoratori del comparto edile);

• gli anni di attività (in alcuni casi il percorso lavorativo inizia molto prima di quello contributivo – lavoro minorile e/o in nero);

• il genere (non c’è dubbio che la differenza di genere, con il passare degli anni almeno per alcune attività, possa causare maggiori stress fisici lavorativi alle donne rispetto a quello degli uomini).

Negli anni ’70 sino alla riforma Dini e Amato, l’attività lavorativa di lavoratori “anziani” con età sopra i 60 anni, era limitata a meno del 20%.

Le successive riforme avevano innalzato l’età della pensione di vecchiaia a 65 anni per gli uomini e a 60 per le donne; le pensioni di anzianità invece prevedevano un minimo di 37 anni di contributi dal 1995.

La riforma Fornero, innalzando l’età per la pensione di vecchiaia a 67 anni e quella di anzianità a 42, ha comportato un nuovo aumento dell’effettiva età in cui i lavoratori si ritirano dal lavoro.

A seguito delle riforme pensionistiche negli ultimi anni è aumentato considerevolmente il numero di lavoratori tra i 55 e i 60 anni ancora in attività.

Le modifiche funzionali per organo o funzione, nell’invecchiamento fisiologico in età lavorativa di seguito evidenziate, sono ben indicate in un rapporto esplicitato da Donatella Talini, Tiziana Vai, Carlo Nava nel libro “Aging E-book, il Libro d’argento su invecchiamento e lavoro”:

• capacità visiva: “difficoltà di accomodazione (nella messa a fuoco per fissare oggetti vicini) per rigidità del cristallino e/o indebolimento dei muscoli ciliari, che si compensa con lenti; riduzione di campo visivo (fino a 20-30°) e di acuità visiva; riduzione di percezione della distanza degli oggetti e della distinzione tra colori scuri molto simili; maggior sensibilità all’abbagliamento per cataratta iniziale o per minor velocità degli adattamenti della pupilla alla luce, particolarmente evidente in caso di scarsa illuminazione, di abbagliamento o di caratteri od oggetti molto piccoli”;

• capacità uditiva: “problemi di presbiacusia con difficoltà alla percezione delle frequenze più alte (valutare anche l’eventuale pregressa esposizione a rumore in ambito lavorativo), e difficoltà alla percezione delle comunicazioni verbali in ambiente rumoroso”;

• equilibrio: “alterazioni a livello degli input sensoriali (sindromi vertiginose, deficit vestibolari)”;

• massima forza muscolare: “dai 20 ai 60 anni si perde dal 15% al 50% di forza muscolare, con conseguente ridotta tolleranza allo sforzo intenso acuto, maggiore affaticabilità, maggiore vulnerabilità per sovraccarico biomeccanico cumulativo (ricordiamo che la definizione di sforzo sulla scala di Borg è individuale)”;

• articolazioni: “la funzionalità si riduce lentamente e può rendere difficile il lavorare in posture estreme; oltre i 45 anni si ha un progressivo incremento dell’osteoartrosi, eventuali effetti del sovraccarico biomeccanico cumulativo (coxartrosi, gonartrosi, rizoartrosi…). Minor resilienza al sovraccarico cumulativo muscolo tendineo”;

• apparati cardiovascolare e respiratorio: “dai 30 ai 65 anni la funzionalità respiratoria può ridursi del 40%, con difficoltà in lavori pesanti prolungati e/o in condizioni climatiche o microclimatiche severe; riduzione di portata cardiaca e di capacità massimale durante lo sforzo”;

• disturbi del sonno: “oltre i 50 anni esiste una riduzione quantitativa e qualitativa del sonno con alterazione dei ritmi-circadiani e regolazione del ritmo sonno-veglia. Vi è inoltre una maggiore difficoltà alla tolleranza dei turni notturni”;

• termoregolazione: “maggiori difficoltà nel mantenere la temperatura interna del nostro organismo in caso di variazione significativa della temperatura e degli altri parametri climatici o microclimatici esterni”;

• funzioni cognitive: “aumento dei tempi di reazione e riduzione della memoria a breve termine e dell’attenzione; minore tolleranza alla confusione; necessità di più tempo per pensare e imparare compiti; maggiore difficoltà ad imparare nuovi compiti, soprattutto se complessi; minor tolleranza ad adattarsi al cambiamento e possibile maggiore predisposizione allo stress lavoro correlato (gli studi su questo aspetto danno risultati controversi). Alcuni studi hanno dimostrato che le differenze nella resistenza allo stress sono maggiori tra individui che tra classi di età; a volte gli anziani (in buona salute) percepiscono meno stress dei giovani ma hanno maggiori difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti e maggiori preoccupazioni per la perdita del lavoro”;

• malattie: “aumenta l’incidenza e prevalenza di malattie cronico-degenerative (diabete, cardiopatie, tumori), spesso con coesistenza di due o più malattie”.

Ma che influenza hanno su questi fattori i parametri aggiuntivi esposti in premessa, relativi ai lavori usuranti, agli anni di attività e al genere?

Lavori usuranti

Premesso che a seconda delle caratteristiche fisiologiche del soggetto, il lavoro può essere comunque più o meno usurante, vediamo quindi quali possono essere le attività da annovere tra queste.

Per il decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67 “Accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma dell’articolo 1 della legge 4 novembre 2010, n. 183” e la legge 22 dicembre 2011, n. 214 “Conversione in legge, con modificazioni, del decretolegge 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” i lavori cosiddetti usuranti sono i seguenti:

• lavori svolti in gallerie, cave o miniere; i lavori svolti ad alte temperature; i lavori in cassoni ad aria compressa; i lavori nella catena di montaggio; i lavori svolti dai palombari; i lavori in spazi ristretti; le attività di asportazione dell’amianto; le attività di lavorazione del vetro cavo;

• lavoratori a turni che prestano la loro attività nel periodo notturno per almeno 6 ore non meno di 64 giorni lavorativi l’anno; i lavoratori che prestano la loro attività per almeno 3 ore tra la mezzanotte e le cinque del mattino per periodi di lavoro di durata pari all’intero anno lavorativo;

• lavoratori impegnati all’interno di un processo produttivo in serie, i lavoratori che svolgano attività con ripetizione costante dello stesso ciclo lavorativo, i lavoratori addetti al controllo computerizzato della produzione e al controllo qualità;

• conducenti di veicoli, di capienza complessiva non inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico.

Ai fini dell’accesso all’Ape sociale e all’anticipo pensionistico, per i lavoratori “precoci” la legge di stabilità 2017 (legge 232/2016) e successivamente la legge di stabilità 2018 (legge 205/17), hanno istituito nuove categorie di lavori particolarmente pesanti o gravosi:

• addetti alla concia di pelli e pellicce;

• addetti ai servizi di pulizia;

• addetti spostamento merci e/o facchini;

• conducenti di camion o mezzi pesanti in genere;

• conducenti treni e personale viaggiante in genere;

• guidatori di gru o macchinari per la perforazione nelle costruzioni;

• infermieri o ostetriche che operano su turni;

• maestre di asilo nido e scuola dell’infanzia;

• operai edili o manutentori di edifici;

• operatori ecologici e tutti coloro che si occupano di separare o raccogliere rifiuti;

• addetti all’assistenza di persone non autosufficienti;

• lavoratori marittimi;

• pescatori,

• operai agricoli;

• operai siderurgici.

Per tutte queste categorie, viene concesso il pensionamento anticipato in funzione al tempo di svolgimento dell’attività senza però fare distinzione di genere.

Il genere nel mondo del lavoro

Il problema del rapporto tra il lavoro e il genere femminile con riguardo all’invecchiamento deve tenere conto del fatto che le donne guadagnano mediamente il 23% di salario in meno rispetto alla stessa posizione occupata da un uomo e mediamente svolgono 2,5 ore al giorno non retribuite in faccende domestiche e nell’accudimento di casa e figli.

Inoltre, essendosi alzata l’aspettativa di vita, spesso si trovano a dover badare anche a genitori anziani.

Tutto ciò influisce sicuramente a livello di stress psicologico e può dunque interessare trasversalmente qualsiasi mansione la donna possa svolgere durante le ore lavorative.

Uno studio a cura di Silvana Salerno, ricercatrice Enea ha evidenziato che dal 2004 al 2008 c’è stata in Italia una perdita di 10 anni di vita sana nel genere femminile.

Alcuni autori si sono dilettati nel riassumere in tabelle gli studi condotti in merito, soprattutto in relazione allo sviluppo di malattie professionali in funzione del genere e il risultato ha evidenziato parecchi scostamenti percentuali tra un genere e l’altro, oltre che evidenziato la differenza di tempo impiegato da una donna rispetto ad un uomo per compiere la stessa mansione.

In taluni casi i minuti al giorno dedicati da una donna erano doppi rispetto all’uomo, in altri dimezzati. In funzione di questa esposizione all’attività le malattie correlat possono variare.

Il progressivo aumento dell’età media dei cittadini, assieme al miglioramento delle condizioni di salute nella terza e quarta età, impongono ai paesi più evoluti l’adozione di politiche sociali e soluzioni di welfare aziendale che siano di concreto sostegno alle persone in età avanzata e alle loro famiglie, per finanziare le quali, in tempi di contrazione delle risorse pubbliche, è necessario il miglioramento costante dei livelli di efficienza ed efficacia produttiva, che non possono prescindere dalla ricerca di soluzioni innovative in grado di favorire l’accrescimento dei margini economici.

Tutto ciò è tanto più vero per l’Italia, che da anni contende al Giappone il primato del paese con il maggior numero di centenari, con prevalenza di donne!