(12/2020) STRETTA CORRELAZIONE TRA DETRAZIONI FISCALI E INFORTUNI SUL LAVORO
di Sergio Vianello
pubblicato su “Il Giornale degli Ingegneri”, 21 dicembre 2020
Volevo iniziare quest’articolo con il macabro elenco dei morti sul lavoro, citando i più eclatanti. Avevo già trovato su internet i dati aggiornatissimi dell’INAIL in merito all’andamento infortunistico sul lavoro. Stavo anche per fare dei paragoni tra il periodo pre-Covid e l’attuale contingenza ma poi mi sono reso conto che è inutile citare ciò che i politicanti e tutti i media ci ricordano quotidianamente; dovrebbe essere arrivato il momento in cui non è più sufficiente indignarsi, occorrerebbe agire! Basta parole vuote che portano a poco o addirittura a nulla; occorre un impegno forte e deciso da parte soprattutto delle istituzioni che, in occasione di qualche infortunio che si presta alla spettacolarizzazione, ci dicono, mostrando vicinanza a tutti gli infortunati:
– … bisogna puntare sul rispetto delle norme!
– … è indispensabile coinvolgere di più degli attori della prevenzione!
– … bisogna realizzare un vero e proprio patto per la sicurezza tra istituzioni e parti sociali!
– … ci vuole maggiore sensibilizzazione sulle tematiche calde da parte di lavoratori e imprese!
– … occorre rafforzare i controlli!
– … le sanzioni sono troppo basse!
– ………
Senza falsa modestia, ritengo di avere una media intelligenza e una buona cultura, ma in sostanza: seguendo queste indicazioni, cosa si deve fare per migliorare la situazione che da decenni è immobile?
C’è stato il periodo pre-Covid in cui ci si infortunava di meno, ma bello sforzo! Abbiamo “soggiornato” per più di dieci anni in una delle più grandi crisi economiche e sociali del dopo guerra, con un sensibile calo dei posti di lavoro; nell’arco del decennio pre-Covid-19 sono stati persi quasi un milione di occupati.
È matematico: meno occupati meno infortuni!
Poi è arrivato il Covid e la maggior parte dei lavoratori non ha avuto la possibilità di recarsi al lavoro e quindi solo il comparto medico e para medico e pochi altri ha movimentato l’andamento degli infortuni e delle malattie professionali.
Non siamo ancora purtroppo nella fase post Covid; tuttavia, l’importante tasso di vaccinazioni e il green pass sta consentendo, salvo pochi casi, una ripresa quasi generalizzata di tutte le attività.
In edilizia, tutta un’altra cosa.
L’edilizia si è ufficialmente fermata solo in occasione del lockdown totale del marzo-aprile 2020, in quanto i famosi DPCM di quel periodo consentivano al comparto edile il prosieguo dell’attività lavorativa anche se con l’attuazione di specifici protocolli di sicurezza sanitaria (peraltro spesso poco percorribili per la realtà del cantiere e quindi mal attuati).
Poi sono arrivate le detrazioni fiscali che, pur preesistenti al periodo Covid, sfruttando la voglia irrefrenabile di ripresa e l’entusiasmo del comparto edilizio, stanno muovendo il settore come da decenni non accadeva: e qui arrivano ma soprattutto arriveranno i dolori, se non si interviene concretamente!!!!!!
Infatti, a differenza dei decenni passati, il crescente utilizzo degli incentivi fiscali, tra i quali il 110%, sta dando una svolta al settore con una stima media annua del numero di occupati di poco inferiore alle 400 mila unità.
È matematico: più occupati più infortuni!
I sintomi di quanto stia succedendo in tal senso sono già purtroppo evidenti (circa tre morti al giorno), ma il boom dei lavori nell’edilizia non è ancora arrivato; spero di essere cattivo profeta ma temo quello che potrebbe succedere a livello infortunistico la prossima primavera-estate!
Per porre argine alla catena ininterrotta di infortuni sul lavoro, lo scorso 21 ottobre 2021 il governo ha emanato il Decreto Legge n°146 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/10/21/21G00157/sg), dove, principalmente, da un lato il legislatore scommette sull’aumento degli ispettori, dall’altro sull’inasprimento delle sanzioni.
Ma è questa la molla che ci aiuterà a diminuire le morti bianche? Personalmente credo di no per i motivi che di seguito cerco di interpretare, indicando almeno qualche tematica irrisolta.
Aumentare le ispezioni ritengo non possa essere utile allo scopo di diminuire gli infortuni, bensì ad aumentare l’utilizzo dell’alibi che ormai è più che largamente utilizzato, che fa in più casi esclamare: un’altra tassa tra le tante!!!; sanno solo fare le multe a chi lavora!!!! è meglio pagare la multa che sottostare a tutte quelle inutili incombenze!!! …….
Tutto questo perché gli ispettori della sicurezza ASL (in Lombardia ATS) sono ufficiali di polizia giudiziaria e che quindi, nelle proprie ispezioni dei luoghi di lavoro, hanno l’obbligo di segnalare e sanzionare penalmente qualsiasi violazione del D.lgs. 81/08; e questo ai sensi di legge!
Gli ispettori ASL non possono fare prevenzione, come saprebbero fare in maniera qualificata, ma sono obbligati a sanzionare!!!
Spesso ce la prendiamo con gli ispettori perché ci irrogano multe che in molti casi riteniamo esagerate e ingiuste, ma è proprio per la loro funzione che sono obbligati a farlo; non possono sorvolare sulle inadempienze in quanto loro stessi assumerebbero una posizione di garanzia non dovuta. La loro posizione è la medesima di un qualsiasi carabiniere che, ai sensi dell’articolo 361 del C.P., in qualità di pubblico ufficiale, non può omettere o ritardare di denunciare alla autorità giudiziaria un qualsiasi reato.
E allora qual è la soluzione concreta? A mio parere si potrebbero utilizzare gli ispettori ASL/Poliziotti solo in caso di continuata inadempienza o per indagini sugli infortuni, e costituire delle strutture, come possono essere i CPT [Comitati Paritetici Territoriali, ndr.] oppure corpi sempre appartenenti all’ASL, ma che non abbiano funzione di polizia giudiziaria e che possano quindi rapportarsi con il datore di lavoro evidenziando le inadempienze riscontrate, affinché possa porvi rimedio nel breve periodo.
Se poi nel periodo di tempo assegnato non vengono sanate le lacune riscontrate, allora è corretto informare le autorità competenti, per le più opportune azioni. Sto dicendo, in sostanza, che allo Stato manca un lavoro di supervisione a monte del lavoro sanzionatorio.
La scelta dei fornitori, nella maggior parte dei casi, viene fatta in base all’offerta economica del fornitore. Molto spesso il Committente, sia che sia l’imprenditore o la signora Maria, ignora che la legge impone, prima di scegliere la propria ditta appaltatrice, di verificarne la sua idoneità tecnica professionale (c.fr. art 26 e 90 D.Lgs. 81/08 e s.m.i).
La Cassazione ricorda in più occasioni che, peraltro, l’idoneità tecnico-professionale non può essere limitata al solo aspetto documentale ma “…scegliere l’appaltatore e più in genere il soggetto al quale affidare l’incarico, accertando che la persona, alla quale si rivolge, sia non soltanto munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge [formali], ma anche della capacità tecnica e professionale [sostanziale], proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa (…)”
Pertanto, per quanto non sia possibile indicare in maniera puntuale e specifica le modalità di tale verifica da parte del soggetto obbligato, ciò che si richiede al datore di lavoro, che affidi lavori in appalto a imprese o a lavoratori autonomi, è di operare una verifica non solo formale ma seria e sostanziale (non realizzata solo in un’ottica economica) in ordine al possesso delle capacità professionali e della esperienza di coloro che sono chiamati ad operare nella azienda, nella unità produttiva o nel ciclo produttivo della medesima.
La competenza di una ditta alla quali si vuole affidare un appalto deve essere verificata prima di assegnare un appalto; la competenza deve andare oltre la semplice conoscenza, in quanto è l’insieme indissolubile delle conoscenze teoriche e dell’esperienza professionale maturata sul campo.
Nel settore edile, soprattutto in appalti modesti, magari di ristrutturazione di un appartamento o anche solo di un bagno, la verifica non viene fatta neppure formalmente; anzi, il committente ignora quasi sempre che per coordinare i lavori dal punto di vista della sicurezza, in caso in cui sia prevista la presenza di due o più imprese, la legge impone ai sensi dell’art. 90 comma 3 – 4 e 5 del
D.Lgs. 81/08 e s.m.i. di nominare un professionista abilitato a svolgere le funzioni di coordinatore della sicurezza (art. 91 e 92 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i.).
In occasione di una semplice ristrutturazione di un appartamento, dovendo intervenire nell’opera utilizzando una ditta di muratura, di idraulica e di elettricisti (presenza di due o più imprese), quanti hanno nominato un professionista esterno per il coordinamento, obbligatorio per legge?
Quando si sta male, è automatico rivolgersi a un medico per un consulto e per la conseguente terapia. Molto spesso invece accade che per affrontare tematiche tecniche, che possono addirittura mettere in gioco più di una vita umana, ci si dimentica di chiedere aiuto a un professionista della sicurezza.
Alla stessa stregua quando si sceglie una impresa edile, che dovrà svolgere dei lavori che per definizione sono potenzialmente pericolosi, come si fa a non ricercarne una qualificata e competente che possa attuare tutte le misure di sicurezza in quanto conosciute?
In questa epoca di pandemia la parola sanificazione è tanto di moda, ma quanti sanno che per poter fare la sanificazione, una ditta si deve abilitare presso la Camera di Commercio come minimo alla letta A e alla lettera B oppure alla lettera E? Quanti sanno che per essere abilitati occorre avere nella propria organizzazione un professionista chimico?
Al contrario, per fare edilizia, non serve alcuna abilitazione: chiunque può fare impresa aprendo una partita IVA con l’oggetto sociale che magari preveda la costruzione di ponti, grandi strutture e centri commerciali!!!
Questo genere di problematica, per i committenti privati, si amplia all’ennesima potenza! Più di una volta la “signora Maria” è stata chiamata in causa per un infortunio accaduto ad un lavoratore non idoneo che ha affrontato un lavoro senza le obbligatorie misure di sicurezza.
E allora qual è la soluzione? Formare tutti i datori di lavoro in merito a queste tematiche che potranno finalmente essere estese anche al proprio ambito familiare, allorquando gli accada di dover chiamare “qualcuno” che ripari il proprio tetto o più semplicemente giri la sua antenna.
Infatti, allo stato il Committente DDL ignora la normativa e ritiene che basti affidare il lavoro ad una ditta esterna per non avere responsabilità sulla corretta esecuzione delle opere da eseguire in sicurezza.
Ritengo che prima di affidare un appalto edile, il committente debba accertare l’affidabilità della ditta appaltatrice, non solo richiedendo e verificando la documentazione obbligatoria di cui all’allegato XVII del D.lgs. 81/08 e s.m.i., ma anche ad esempio appurare la presenza o meno dei seguenti requisiti:
✓ volume d’affari pari ad almeno 3-4 volte il valore presunto dell’appalto (indice di affidabilità e solidità nel poter affrontare un lavoro di un determinato importo);
✓ copertura R.C. assicurativa con massimali adeguati;
✓ avere alle proprie dipendenze maestranze, come media annua dell’anno di riferimento, con un numero adeguato all’appalto (dato desumibile dal certificato della camera di commercio);
✓ avere eseguito lavori analoghi a quelli in affidamento (documentati) negli ultimi due anni di attività (almeno una per anno);
✓ eventuale sistema di gestione della sicurezza certificazione OSHAS;
✓ eventuali certificazioni ISO, SOA a corredo dell’offerta.
Chi legge, molto probabilmente ha avuto l’occasione di dover utilizzare almeno una volta nella vita una ditta di muratura accompagnata da elettricisti, da idraulici e imbianchini; ebbene queste ditte rispecchiavano le caratteristiche sopra evidenziate ?
Lascio a Voi la risposta !!!!!!