cantieri e gru

(04/2022) STRETTA CORRELAZIONE TRA DETRAZIONI FISCALI E INFORTUNI SUL LAVORO

di Sergio Vianello

Pubblicato su “Il Giornale dell’Ingegnere di Aprile 2022”

Volevo iniziare quest’articolo con il macabro elenco dei morti sul lavoro, citando i più eclatanti. Avevo già trovato su internet i dati aggiornatissimi dell’INAIL in merito all’andamento infortunistico sul lavoro. Stavo anche per fare dei paragoni tra il periodo pre-Covid e l’attuale contingenza ma poi mi sono reso conto che è inutile citare ciò che i politicanti e tutti i media ci ricordano quotidianamente; dovrebbe essere arrivato il momento in cui non è più sufficiente indignarsi, occorrerebbe agire! Basta parole vuote che portano a poco o addirittura a nulla; occorre un impegno forte e deciso da parte soprattutto delle istituzioni che, in occasione di qualche infortunio che si presta alla spettacolarizzazione, ci dicono, mostrando vicinanza a tutti gli infortunati:

  • … bisogna puntare sul rispetto delle norme!
  • … è indispensabile coinvolgere di più degli attori della prevenzione!
  • … bisogna realizzare un vero e proprio patto per la sicurezza tra istituzioni e parti sociali!
  • … ci vuole maggiore sensibilizzazione sulle tematiche calde da parte di lavoratori e imprese!
  • … occorre rafforzare i controlli! 
  • … le sanzioni sono troppo basse!
  • ………

Senza falsa modestia, ritengo di avere una media intelligenza e una buona cultura, ma in sostanza: seguendo queste indicazioni, cosa si deve fare per migliorare la situazione che da decenni è immobile?

C’è stato il periodo pre-Covid in cui ci si infortunava di meno, ma bello sforzo! Abbiamo “soggiornato” per più di dieci anni in una delle più grandi crisi economiche e sociali del dopo guerra, con un sensibile calo dei posti di lavoro; nell’arco del decennio pre-Covid-19 sono stati persi quasi un milione di occupati.

È matematico: meno occupati meno infortuni!

Poi è arrivato il Covid e la maggior parte dei lavoratori non ha avuto la possibilità di recarsi al lavoro e quindi solo il comparto medico e para medico e pochi altri ha movimentato l’andamento degli infortuni e delle malattie professionali.

Non siamo ancora purtroppo nella fase post Covid; tuttavia, l’importante tasso di vaccinazioni e il green pass sta consentendo, salvo pochi casi, una ripresa quasi generalizzata di tutte le attività.

In edilizia, tutta un’altra cosa.

L’edilizia si è ufficialmente fermata solo in occasione del lockdown totale del marzo-aprile 2020, in quanto i famosi DPCM di quel periodo consentivano al comparto edile il prosieguo dell’attività lavorativa anche se con l’attuazione di specifici protocolli di sicurezza sanitaria (peraltro spesso poco percorribili per la realtà del cantiere e quindi mal attuati).

Poi sono arrivate le detrazioni fiscali che, pur preesistenti al periodo Covid, sfruttando la voglia irrefrenabile di ripresa e l’entusiasmo del comparto edilizio, stanno muovendo il settore come da decenni non accadeva: e qui arrivano ma soprattutto arriveranno i dolori, se non si interviene concretamente!!!!!!

Infatti, a differenza dei decenni passati, il crescente utilizzo degli incentivi fiscali, tra i quali il 110%, sta dando una svolta al settore con una stima media annua del numero di occupati di poco inferiore alle 400 mila unità.

È matematico: più occupati più infortuni!

I sintomi di quanto stia succedendo in tal senso sono già purtroppo evidenti (circa tre morti al giorno), ma il boom dei lavori nell’edilizia non è ancora arrivato; spero di essere cattivo profeta ma temo quello che potrebbe succedere a livello infortunistico la prossima primavera-estate!

Per porre argine alla catena ininterrotta di infortuni sul lavoro, lo scorso 21 ottobre 2021 il governo ha emanato il Decreto Legge n°146 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/10/21/21G00157/sg), dove, principalmente, da un lato il legislatore scommette sull’aumento degli ispettori, dall’altro sull’inasprimento delle sanzioni.

Ma è questa la molla che ci aiuterà a diminuire le morti bianche? Personalmente credo di no per i motivi che di seguito cerco di interpretare, indicando almeno qualche tematica irrisolta.

Aumentare le ispezioni ritengo non possa essere utile allo scopo di diminuire gli infortuni, bensì ad aumentare l’utilizzo dell’alibi che ormai è più che largamente utilizzato, che fa in più casi esclamare: un’altra tassa tra le tante!!!; sanno solo fare le multe a chi lavora!!!! è meglio pagare la multa che sottostare a tutte quelle inutili incombenze!!! …….

Tutto questo perché gli ispettori della sicurezza ASL (in Lombardia ATS) sono ufficiali di polizia giudiziaria e che quindi, nelle proprie ispezioni dei luoghi di lavoro, hanno l’obbligo di segnalare e sanzio­nare penalmente qualsiasi viola­zione del D.lgs. 81/08; e questo ai sensi di legge!

Gli ispettori ASL non possono fare prevenzione,come saprebbero fare in maniera qualificata, ma sono obbligati a sanzionare!!!

Spesso ce la prendiamo con gli ispettori perché ci irrogano multe che in molti casi riteniamo esagerate e ingiuste, ma è proprio per la loro funzione che sono obbligati a farlo; non possono sorvolare sulle inadempienze in quanto loro stessi assumerebbero una posizione di garanzia non dovuta. La loro posizione è la medesima di un qualsiasi carabiniere che, ai sensi dell’articolo 361 del C.P., in qualità di pubblico ufficiale, non può omettere o ritardare di denunciare alla autorità giudiziaria un qualsiasi reato.

E allora qual è la soluzione concreta? A mio parere si potrebbero utilizzare gli ispettori ASL/Poliziotti solo in caso di continuata inadempienza o per indagini sugli infortuni, e costituire delle strutture, come possono essere i CPT [Comitati Paritetici Territoriali, ndr.] oppure corpi sempre appartenenti all’ASL, ma che non abbiano funzione di polizia giudiziaria e che possano quindi rapportarsi con il datore di lavoro evidenziando le inadempienze riscontrate, affinché possa porvi rimedio nel breve periodo.

Se poi nel periodo di tempo assegnato non vengono sanate le lacune riscontrate, allora è corretto informare le autorità competenti, per le più opportune azioni. Sto dicendo, in so­stanza, che allo Stato manca un lavoro di supervisione a monte del lavoro sanzionatorio.

La scelta dei fornitori, nella maggior parte dei casi, viene fatta in base all’offerta economica del fornitore. Molto spesso il Committente, sia che sia l’imprenditore o la signora Maria, ignora che la legge impone, prima di scegliere la propria ditta appaltatrice, di verificarne la sua idoneità tecnica professionale (c.fr. art 26 e 90 D.Lgs. 81/08 e s.m.i).

La Cassazione ricorda in più occasioni che, peraltro, l’idoneità tecnico-professionale non può essere limitata al solo aspetto documentale ma “…scegliere l’appaltatore e più in genere il soggetto al quale affidare l’incarico, accertando che la persona, alla quale si rivolge, sia non soltanto munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge [formali], ma anche della capacità tecnica e professionale [sostanziale], proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa (…)” 

Pertanto, per quanto non sia possibile indicare in maniera puntuale e specifica le modalità di tale verifica da parte del soggetto obbligato, ciò che si richiede al datore di lavoro, che affidi lavori in appalto a imprese o a lavoratori autonomi, è di operare una verifica non solo formale ma seria e sostanziale (non realizzata solo in un’ottica economica) in ordine al possesso delle capacità professionali e della esperienza di coloro che sono chiamati ad operare nella azienda, nella unità produttiva o nel ciclo produttivo della medesima.

La competenza di una ditta alla quali si vuole affidare un appalto deve essere verificata prima di assegnare un appalto; la competenza deve andare oltre la semplice conoscenza, in quanto è l’insieme indissolubile delle conoscenze teoriche e dell’esperienza professionale maturata sul campo.

Nel settore edile, soprattutto in appalti modesti, magari di ristrutturazione di un appartamento o anche solo di un bagno, la verifica non viene fatta neppure formalmente; anzi, il committente ignora quasi sempre che per coordinare i lavori dal punto di vista della sicurezza, in caso in cui sia prevista la presenza di due o più imprese, la legge impone ai sensi dell’art. 90 comma 3 – 4 e 5 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. di nominare un professionista abilitato a svolgere le funzioni di coordinatore della sicurezza (art. 91 e 92 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i.).

In occasione di una semplice ristrutturazione di un appartamento, dovendo intervenire nell’opera utilizzando una ditta di muratura, di idraulica e di elettricisti (presenza di due o più imprese), quanti hanno nominato un professionista esterno per il coordinamento, obbligatorio per legge?

Quando si sta male, è automatico rivolgersi a un medico per un consulto e per la conseguente terapia. Molto spesso invece accade che per affrontare tematiche tecniche, che possono addirittura mettere in gioco più di una vita umana, ci si dimentica di chiedere aiuto a un professionista della sicurezza.

Alla stessa stregua quando si sceglie una impresa edile, che dovrà svolgere dei lavori che per definizione sono potenzialmente pericolosi, come si fa a non ricercarne una qualificata e competente che possa attuare tutte le misure di sicurezza in quanto conosciute?

In questa epoca di pandemia la parola sanificazione è tanto di moda, ma quanti sanno che per poter fare la sanificazione, una ditta si deve abilitare presso la Camera di Commercio come minimo alla letta A e alla lettera B oppure alla lettera E? Quanti sanno che per essere abilitati occorre avere nella propria organizzazione un professionista chimico?

Al contrario, per fare edilizia, non serve alcuna abilitazione: chiunque può fare impresa aprendo una partita IVA con l’oggetto sociale che magari preveda la costruzione di ponti, grandi strutture e centri commerciali!!!

Questo genere di problematica, per i committenti privati, si amplia all’ennesima potenza! Più di una volta la “signora Maria” è stata chiamata in causa per un infortunio accaduto ad un lavoratore non idoneo che ha affrontato un lavoro senza le obbligatorie misure di sicurezza.

E allora qual è la soluzione? Formare tutti i datori di lavoro in merito a queste tematiche che potranno finalmente essere estese anche al proprio ambito familiare, allorquando gli accada di dover chiamare “qualcuno” che ripari il proprio tetto o più semplicemente giri la sua antenna.

Infatti, allo stato il Committente DDL ignora la normativa e ritiene che basti affidare il lavoro ad una ditta esterna per non avere responsabilità sulla corretta esecuzione delle opere da eseguire in sicurezza.

Ritengo che prima di affidare un appalto edile, il committente debba accertare l’affidabilità della ditta appaltatrice, non solo richiedendo e verificando la documentazione obbligatoria di cui all’allegato XVII del D.lgs. 81/08 e s.m.i., ma anche ad esempio appurare la presenza o meno dei  seguenti requisiti:

  • volume d’affari pari ad almeno 3-4 volte il valore presunto dell’appalto (indice di affidabilità e solidità nel poter affrontare un lavoro di un determinato importo);
  • copertura R.C. assicurativa con massimali adeguati;
  • avere alle proprie dipendenze maestranze, come media annua dell’anno di riferimento, con un numero adeguato all’appalto (dato desumibile dal certificato della camera di commercio);
  • avere eseguito lavori analoghi a quelli in affidamento (documentati) negli ultimi due anni di attività (almeno una per anno);
  • eventuale sistema di gestione della sicurezza certificazione OSHAS;
  • eventuali certificazioni ISO, SOA a corredo dell’offerta.

Chi legge, molto probabilmente ha avuto l’occasione di dover utilizzare almeno una volta nella vita una ditta di muratura accompagnata da elettricisti, da idraulici e imbianchini; ebbene queste ditte rispecchiavano le caratteristiche sopra evidenziate ?

Lascio a Voi la risposta !!!!!!                                                 

Sergio Vianello

 Ordine degli Ingegneri di Milano

Osservatore esterno Commissione Lavoro ODCEC Milano

(10/2021) PER FARE PREVENZIONE BISOGNA PARTIRE DAL DATORE DI LAVORO

Ne è convinto Sergio Vianello, Coordinatore Commissione sicurezza cantieri CROIL, che lancia l’allarme: “Con il Superbonus 110% il numero degli infortuni è destinato ad aumentare”

di Sergio Vianello

pubblicato su “Il Giornale dell’Ingegnere”, ottobre 2021

Leonardo Perna, 72 anni, morto cadendo da un’impalcatura alta 2 metri. Un altro operaio morto dopo la caduta da un’impalcatura 5 metri in provinzia di Padova. E ancora, un muratore morto mentre ristrutturava una palazzina in provincia di Brindis; Giorgia Sergioi morta a soli 26 anni a gennaio caduta da una scala mentre puliva le vetrate di un bar per conto della ditta di pulizie per cui lavorava. E poi, Emanuele Zanin, 46 anni, e Jagdeep Singh, 42, morti all’Università Humanitas di Pieve Emanuele, nel Milanese, mentre caricavano una cisterna di azoto liquido. Tre morti ogni giorno, queste le stime di Inal che rileva 772 decessi al 31 di agosto. Secondo quanto riporta Inail: “Le denunce di infortunio sul lavoro presentate entro lo scorso mese di agosto sono state 349.449, oltre 27mila in più (+8,5%) rispetto alle 322.132 dei primi otto mesi del 2020, sintesi di un decremento delle denunce osservato nel trimestre gennaio-marzo (-11%) e di un incremento nel periodo aprile-agosto (+26%) nel confronto tra i due anni”. In base a quanto riportato dall’Osservatorio Nazionale Indipendente sulle morti sul lavoro, fino a ottobre 2021 si sono registrati 1192 morti complessivi per infortuni sul lavoro: 588 sono morti sui luoghi di lavoro, i rimanenti sulle strade e in itinere.

Le notizie che riguardano infortuni mortali sul lavoro sono all’ordine del giorno. Siamo di fronte a un’emergenza? “Gli infortuni ci sono sempre stati e ci saranno sempre, al netto dei periodi in cui l’attenzione mediatica sul tema della sicurezza sul lavoro è maggiore. Nel 2020 c’è stato un calo, per ovvi motivi – tra le chiusure dovute al Covid e la carenza di lavoro – ma in questi mesi è ragionevole attendersi un aumento, con la ripresa dell’economia e la spinta del Superbonus 110% in edilizia, che sta moltiplicando i cantieri”.

Come si può affrontare e risolvere il problema? “In primis intervenendo sui datori di lavoro per contrastare la crisi economica. Tutti sanno che la formazione sulla sicurezza è fondamentale per i lavoratori, e sono previste sanzioni per chi non la svolge adeguatamente; al contrario, non c’è una norma che regoli la formazione per datore di lavoro, che spesso vede la normativa soltanto come ‘un altro costo tra tanti’. Ci sono almeno due presupposti vitali per prevenire gli infortuni sul lavoro: il primo deriva dal fatto che il DDT, in molti casi, pur comportandosi nel rispetto della normativa, non conoscendo la normativa non conosce nemmeno i vantaggi che la normativa gli offre, come ad esempio quella di poter delegare al preposto la supervisione della sicurezza e, quindi, come in molti casi la giurisprudenza si è espressa, la sua posizione di garanzia.

Tutti i suoi lavoratori sono formati e informati per legge, Lui no ! Il secondo, forse il più importante e che comporta molti infortuni, è quello della mancata verifica dell’idoneità tecnica professionale delle ditte appaltatrici e dei lavoratori autonomi, prevista dagli articoli 26 e 90 del Testo Unico.

Infatti, in tanti casi il DDL ritiene che basti scegliere la ditta esecutrice solo in base al prezzo, scordandosi di verificare ciò che però è indispensabile: la sua competenza.

Per far lavorare un addetto su un tetto, non basta credere che lo sappia fare, occorre accertarsi che il soggetto sia formato, e soprattutto addestrato e qualora il Committente non sia in grado di determinarlo, deve rivolgersi al proprio RSPP che certamente sarà in grado di assisterlo e dargli le dovute indicazioni”.

Quindi una parte importante della responsabilità ricade sul committente? “Quando si sta male, è automatico rivolgersi a un medico per un consulto e per la conseguente terapia”.

Molto spesso, invece, accade che per affrontare tematiche tecniche, che possono addirittura mettere in gioco la vita umana, ci si dimentica di chiedere aiuto a un professionista della sicurezza. Le motivazioni sono molteplici, una su tutte è il fatto che il Committente DDL, come evidenziato prima, ignora la normativa e ritiene che basti affidare il lavoro a una ditta esterna per non avere responsabilità sulla corretta esecuzione delle opere da eseguire in sicurezza. È bene comunque ricordare che la verifica dell’idoneità tecnico-professionale non deve essere limitata al solo aspetto documentale infatti, la Cassazione ha più volte ribadito che, in materia di responsabilità, il committente di lavori dati in appalto deve adeguare la sua condotta a due fondamentali regole di diligenza e prudenza e cioè scegliere l’appaltatore e più in genere il soggetto al quale affidare l’incarico, accertandosi che la persona alla quale si rivolge sia non soltanto munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge (formali), ma anche della capacità tecnica e professionale (sostanziale) proporzionata al tipo di attività commissionata e alle concrete modalità di espletamento della stesse. Facciamo un esempio: In questa epoca di pandemia, la parola sanificazione è tanto di moda, ma quanti sanno che per poter fare la sanificazione una ditta deve abilitarsi alla Camera di Commercio come minimo alla letta A e alla lettera B, oppure alla lettera E? Quanti sanno che per essere abilitati occorre avere nella propria organizzazione un professionista chimico? Al contrario, per fare edilizia non serve alcuna abilitazione, chiunque può fare impresa aprendo una Partita IVA con l’oggetto sociale che, magari, preveda la costruzione di ponti, grandi strutture e centri commerciali!

Questo genere di problematica, per i committenti privati, si amplia all’ennesima potenza! Più di una volta la “signora Maria” è stata chiamata in causa per un infortunio accaduto a un lavoratore non idoneo, che ha affrontato un lavoro senza le obbligatorie misure di sicurezza”.

Con il Superbonus 110% si moltiplicano non solo i cantieri, ma anche le imprese edili che cercano di cogliere questa opportunità.

Pensa che queste problematiche aumenteranno nei prossimi mesi? “Enormemente. Negli ultimi anni gli infortuni sul lavoro sono diminuiti anche per la contrazione dell’economia. Ora le denunce sono in aumento, ma il boom dei lavori nell’edilizia non è ancora arrivato, bisognerà aspettare la primavera.

Ci saranno molte imprese “improvvisate”, e per questo bisognerà convincere i committenti a non prendere soltanto le ditte che contracostano meno, ma a sceglierle tra quelle capaci e affidabili”.

Questo però è un problema annoso.

Che cosa si può fare? “Oltre alla formazione del datore di lavoro, come ho già evidenziato, penso che le istituzioni debbano dare un indirizzo anche politico in merito. Aumentare le sanzioni e il numero degli ispettori delle ASL non è una risposta adeguata.
Occorre considerare che gli ispettori delle ASL sono ufficiali di polizia giudiziaria e che, quindi, nelle proprie ispezioni dei luoghi di lavoro, hanno l’obbligo di segnalare e sanzionare penalmente qualsiasi violazione dell’81/08, e questo ai sensi Legge! Gli ispettori ASL non possono fare prevenzione come saprebbero fare in maniera qualificata. Spesso ce la prendiamo con gli ispettori perché ci sanzionano, ma è proprio per la loro funzione che sono obbligati a farlo. Al contrario, a mio parere, servirebbe una struttura – come possono essere i CPT [Comitati Paritetici Territoriali, ndr.] – che non abbia funzione di polizia giudiziaria, e che possa rapportarsi con il datore di lavoro evidenziandogli le inadempienze riscontrati, dandogli consigli e indicando le inadempienze riscontrate affinché possa nel breve porvi rimedio. Se poi nel periodo di tempo assegnato non vengono sanate le lacune riscontrate, allora è corretto informare le autorità competenti, per le più opportune azioni. Sto dicendo, in sostanza, che manca un lavoro di supervisione a monte del lavoro sanzionatorio”.
Che ruolo possono avere gli Ordini professionali e l’UNI in questo quadro?
“L’Ordine degli Ingegneri, ad esempio, ha provato a muoversi nell’ambito della normazione, formando un gruppo di lavoro con il CNI al quale hanno partecipato tutti i rappresentanti degli Ordini d’Italia per stilare delle Linee Guida sul problema dell’anti-caduta; un lavoro che si era concretizzato anche in una proposta di legge, ma poi con il cambio di governo non se n’è fatto nulla. La possibilità di normare alcune tematiche, ad esempio quelle relative alle cadute dall’alto, è a mio parere fondamentale: la legislazione può essere carente su alcuni aspetti, non può coprire tutti gli ambiti, ed è qui che sopraggiungono le norme UNI. Con l’UNI ad esempio ho l’onore di partecipare a un gruppo di lavoro che ha il compito di determinare i profili dell’installatore di linee anti-caduta, affinché non ci si trovi nella condizioni di scegliere, come spesso succede, personale improvvisato e non qualificato per una funzione così importante”.

(05/2021) L’IMPORTANZA DELLA CONCERTAZIONE CON LE CONSULTE DEGLI INGEGNERI

Il ruolo della figura professionale dell’ingegnere come fondamentale raccordo tra territorio, politica istituzionale e società

di Sergio Vianello

pubblicato su “Il Giornale dell’Ingegnere”, maggio 2021

Che ruolo svolge, oggi, una figura professionale altamente competente e specializzata come quella dell’ingegnere all’interno del territorio, della politica e della società? In questa analisi, prenderemo in considerazione la fondamentale opera organizzativa e concertativa operata dai professionisti – nel caso in esame lombardi, ma con un generale riferimento all’intero territorio nazionale – riuniti in Consulte e Federazioni, a servizio della collettività. Le Federazioni o Consulte degli Ingegneri sono organismi volontariamente costituiti dagli Ordini Provinciali dei professionisti appartenenti a una Regione – o, in caso di Federazioni Interregionali, da Ordini di Regioni confinanti – che svolgono attività di coordinamento, curando i rapporti con le istituzioni e la società civile a livello regionale, nonché apportando un prezioso contributo anche a livello nazionale.

In Italia, tutte le Regione dispongono di una Federazione o Consulta, eccezion fatta per Trentino Alto Adige e Molise.

In Lombardia esiste, dal lontano 1973, la CROIL – Consulta Regionale Ordini Ingegneri Lombardia, costituita dagli Ordini degli Ingegneri di tutte le province lombarde, organismo senza dubbio propedeutico sia allo sviluppo della categoria professionale che della collettività tutta.

Infatti, ritengo che sempre di più questi organismi, rappresentativi di migliaia di ingegneri sul territorio, debbano costituire un apporto essenziale sia alla politica di governo che alla società civile, fungendo da raccordo fra questi due “livelli”, mettendo a disposizione le conoscenze e competenze tecnico-organizzative di una figura professionale e qualificata qual è un “ingegnere”, in azioni di consulenza, nonché di strutturazione e condivisione di percorsi – ideali e pratici – al servizio del territorio e del suo necessario sviluppo e promozione.

UN MOMENTO ESSENZIALE DI COOPERAZIONE

In tal senso merita infatti una particolare considerazione, il rinnovato Protocollo d’intesa, siglato nel recente 2019, che ha definito la nuova collaborazione – iniziata nel 2012 – tra Regione Lombardia e la CROIL: un momento essenziale di cooperazione, nonché immagine determinante di una vera e propria “cabina di regia”, con l’intento di cercare sempre pi. il miglior raccordo e concertazione dei tavoli tecnici di entrambi gli organismi.

Infatti, si è voluto mettere al centro del dibattito temi di discussione di assoluta attualità, sui quali fare approfondimento e proporre strategie e soluzioni, quali: l’ambiente; la sostenibilità; l’energia; il territorio e la pianificazione; l’urbanistica; l’edilizia; la protezione civile; la sicurezza stradale; i trasporti e la mobilità; l’innovazione e la ricerca; le infrastrutture; la sicurezza sul lavoro; la formazione; la digitalizzazione e la semplificazione.

Anche in questo caso, il ruolo e il peso rilevante di questo insieme coordinato di professionisti si è dimostrato di indubbia importanza, considerando il dispiegamento di forze, di intenti e l’impegno portato avanti con dedizione ed esclusivamente con modalità del tutto volontarie.

Se le indagini da sempre affermano che gli ingegneri sono fra le categorie professionali pi. stimate, non è possibile, in questa sede, non sottolineare il loro ruolo determinante all’interno della società, attraverso la strutturazione di un aperto dialogo con le istituzioni e di una viva discussione, con l’avanzamento di proposte e il sollevamento di istanze e necessità, verso le quali la collettività non può certamente esimersi dal confrontarsi.

Tra gli eventi caldeggiati dalla Consulta possiamo, ad esempio, citare gli utili seminari per gli aggiornamenti e gli approfondimenti su temi tecnici ed economici per promuovere e tutelare la figura dell’ingegnere all’interno del proprio Ordine territoriale.

IL LAVORO DELLE COMMISSIONI

E’ importante sottolineare, inoltre, il lavoro fatto all’interno delle Commissioni per approfondire temi tecnici ed economici, al fine di promuovere, aggiornare e tutelare la figura dell’ingegnere. Tali attività concertative sono state sempre al centro dell’attività delle Commissioni, potendo dare testimonianza in prima persona, in quanto membro attivo della Consulta, nella prima e proficua esperienza che mi ha visto coinvolto nel ruolo di Coordinatore della Commissione Sicurezza Cantieri Mobili, di quanto le azioni di professionisti esperti come gli ingegneri possano offrire davvero un contributo determinante allo sviluppo e alla promozione del territorio e ai necessari studi e analisi su tematiche di primaria attualità, contribuendo a mantenere alti i riflettori su questioni che non tollerano, certamente, un “abbassamento della guardia”.

Ricordo, tra gli altri, il convegno promosso dalla mia commissione nel marzo 2020, con l’alto patrocinio della Regione Lombardia, sulla problematica delle “cadute dall’alto da tetti ed edifici condominiali” che ha visto impiegati mesi e mesi di lavoro, con più di 500 invitati, stakeholder di primaria importanza quali: Regione Lombardia, ATS e INAIL, Procura della Repubblica e svariati altri Ordini Professionali, e associazione di categoria, per fare il punto sulla situazione e avanzare, insieme a dubbi e perplessità, possibili ipotesi di dialogo e soluzioni (si veda Il Giornale dell’Ingegnere n.10/20 pag. 11, ndr.). Infatti, tante, troppe, volte abbiamo letto o ascoltato l’espressione “Tragica fatalità” usata per raccontare un incidente mortale sul lavoro. . difficile credere che le oltre 1000 persone decedute nel 2019 sul luogo di lavoro siano state vittime solo della malasorte, e parlare di “fatalità” sembra essere un modo per dare una spiegazione semplicistica, a buon mercato e lasciarsi frettolosamente l’accaduto alle spalle. La tragedia, invece, ha cause, nella quasi totalità dei casi, prevedibili e perciò prevenibili e soprattutto ha responsabilità molto spesso ben chiare e non trascurabili.

Purtroppo, la pandemia e il lockdown, nonostante l’impegnativa e alacre organizzazione intrapresa sotto la regia del Presidente CROIL, Augusto Allegrini, proprio a ridosso del suo inizio, ci siamo visti costretti a rimandare l’evento, mantenendo tuttavia, quale obiettivo primario, quello di continuare a fare ricerca sulle tematiche di questa spinosa e controversa questione, con una costante, precisa e puntuale ricognizione per la necessaria valorizzazione delle competenze in materia. In tal senso, si è cercato di sopperire, seppur parzialmente, ai disagi derivati dalla pandemia e all’impossibilità di svolgere il convegno in presenza, pianificando un secondo evento inerente alla medesima tematica e promosso dalla Consulta, nel novembre 2020, questa volta in webinar, al quale è comunque intervenuto un centinaio di autorevoli partecipanti.

Altra tematica discussa in Commissione è stata quella della assoluta necessità che l’industria edile si qualifichi e si professionalizzi sempre di più: infatti, è il caso di notare che per lo Stato basta recarsi da un notaio con un oggetto sociale, molto ampio, che prevede la possibilità di fare ponti, grandi strutture, autostrade, etc., ed . immediatamente possibile aprire una Partita IVA e operare sul mercato, magari senza la necessaria esperienza e competenza in quanto non richiesta, come ad esempio quella dovuta alle ditte impiantistiche o alle ditte di pulizia, disinfezione e/o sanificazione.

Per concludere, è fattuale che l’azione coordinata di “attori” poliedrici e preparati, quali sono gli ingegneri, con le loro competenze altamente professionali e trasversali, attraverso l’unione delle “forze”, possa dare impulso a procedimenti e azioni concrete per garantire la pi. sostanziale tutela degli interessi della categoria, agendo certamente d’intesa con gli Ordini degli Ingegneri territoriali e coordinandone azioni e attività, pur sempre nel rispetto della loro indiscutibile autonomia d’azione.

spiaggia con persone

(05/2020) RISCHIO CONTAGIO DA SARS-COV-2 NEGLI STABILIMENTI BALNEARI

di Sergio Vianello

pubblicato su “Il Commerci@lista lavoro e previdenza” di Maggio/Giugno/Luglio 2020

analisi della situazione esistente
1.1 misure adottate a livello nazionale ed europeo

Le disposizioni normative che ad oggi vigono in Italia, per quanto concerne le misure di contenimento per l’emergenza COVID-19 relativamente al settore della balneazione, fanno riferimento al decreto del presidente del consiglio dei ministri del 17 maggio 2020 (recante le misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica e disciplinanti la riapertura di negozi al dettaglio e attività di cura della persona, bar, ristoranti, nonché la riapertura degli stabilimenti balneari) ed alle recentissime integrazioni contenute nel “Rapporto sulle attività di balneazione in relazione alla diffusione del virus Sars-CoV-2” del Gruppo di lavoro Ambiente-rifiuti Covid-19 diffuso dall’Istituto superiore della sanità in data 4 giugno, in concerto con il Ministero della salute, l’Inail, il Coordinamento di prevenzione della Conferenza Stato-Regioni, alcuni esperti delle Arpa ed altre istituzioni.

Tali disposizioni definiscono la tematica in via definitiva, integrando – e in parte modificando – quanto dettato prima dall’allegato 10 del DPCM del 26 aprile 2020, poi dal decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e successivamente dal documento tecnico INAIL/ISS 12 maggio 2020, il quale ha presentato, in linee guida definite, le misure idonee a prevenire il contagio nelle attività ricreative di balneazione e in spiaggia. L’ ottica individuata è stata indubbiamente a tutto tondo, avendo, inoltre, preso necessariamente in considerazione, nelle specifiche disposizioni normative, le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Nei suddetti documenti, viene individuata, progressivamente, la possibilità di un graduale allentamento delle misure di contenimento a favore della ripresa economica, nell’ambito della quale è stata
stabilita, da parte delle autorità competenti, la ripresa delle attività connesse alla balneazione nel nostro Paese.

Consideriamo di seguito le misure adottate in alcuni paesi europei a noi vicini, nonché le relative previsioni precauzionali. In Spagna, nella regione dell’Andalusia, il governo locale è, al momento, orientato a consentire l’ingresso con dei limiti fino al 40% dello spazio negli stabilimenti, con controlli di polizia all’ingresso, distanze e divieto di giochi collettivi. Le raccomandazioni sono orientate ovviamente verso l’osservazione di una corretta igiene personale prima e durante l’utilizzo della spiaggia, laddove si precisa che sarebbe importante non rimanere più di quattro ore per evitare assembramenti. A Barcellona, invece, è previsto un graduale ritorno alla normalità in seguito alla riapertura dei litorali dove è di nuovo consentito fare attività fisica, anche se solo individuale. Sono, altresì, permessi gli sport acquatici come il surf e il paddle boarding. La possibilità di accedere ai litorali e di praticare attività fisica, poi, ha dei precisi limiti di orario, con fasce dedicate agli atleti, agli anziani e ai bambini. Tale disposizione risulta fondamentale per evitare affollamenti nelle tre spiagge più frequentate della città, dove, comunque, ancora non risulta possibile fare il bagno. La
possibilità di praticare sport individuali è, invece, consentita dalle 6 alle 10 del mattino e dalle 20 alle 23 la sera. Nella località balneare spagnola Canet d’en Berenguer, a nord di Valencia, i posti in
spiaggia devono essere prenotati tramite app scegliendo tra il turno del mattino o del pomeriggio e gli accessi sono sorvegliati con il personale che accompagna al proprio spazio. É importante qui sottolineare che, quando arriverà il via libera alle riaperture, probabilmente a metà giugno, la spiaggia potrà accogliere solo la metà della capienza normale, in modo da garantire il distanziamento sociale. La spiaggia sarà infatti probabilmente divisa in settori, ognuno distante due metri dall’altro, i cui confini saranno contrassegnati da reti e pali. I clienti avranno poi a disposizione uno spazio riservato (variabile come capienza, posizione e anche costo). L’arrivo sarà inoltre determinato ad un orario prestabilito, per evitare assembramenti.

Se ci spostiamo in Croazia, invece, la strategia adottata sembra diversa. Il governo locale ha infatti reso noto che non verrà imposto nessun divieto, ma solo precauzioni, con vigili, bagnini, autorità
locali e albergatori che dovranno assicurarsi che lettini e teli non siano troppo vicini fra loro. Tra l’altro, il paese ha già aperto i confini ai paesi della Mitteleuropa.
Per continuare l’analisi, in Francia, infine, la regola generale è la chiusura secondo le direttive del Ministero dell’Interno, nonostante i Consigli comunali abbiano comunque la facoltà di chiedere la riapertura alle rispettive Prefetture. Va rilevato che, al momento, decine di città sulla costa atlantica hanno operato in questa direzione, mentre in Costa Azzurra e in Corsica si attendono le direttive. Nel frattempo, La Grande Motte è la prima località balneare francese a realizzare un sistema di zone separate per i bagnanti. Adottando un semplice criterio, infatti, la spiaggia è stata suddivisa in settori quadrangolari separati da corde, con un lato aperto sul corridoio di accesso verso il mare.

Inquadramento della problematica
2.1 Inquadramento della problematica relativa al contenimento del contagio da SarS-coV2 negli stabilimenti balneari

Nel nostro paese, la strategia di gestione del rischio relativa al contenimento del contagio da SARS-CoV2 negli stabilimenti balneari deve tenere conto di vari aspetti che riguardano il sistema integrato delle infrastrutture collegate con la meta di balneazione, gli stabilimenti e le spiagge libere. Inoltre, va sicuramente precisato che determinare l’area utilizzabile dai bagnanti richiede valutazioni specifiche, perché le aree costiere sono molto differenti tra loro. Al riguardo, il recente “Rapporto sulle attività di balneazione in relazione alla diffusione del virus Sars-CoV-2” edito il 31 maggio
dall’istituto superiore della sanità (ISS), ha specificato che con più di 7.000 km di costa ed un elevatissimo numero di aree di balneazione ad alta frequentazione, il rischio riconducibile al turismo balneare, anche a seconda dei differenti indici sanitari valutati a livello regionale e locale, può diventare importante, soprattutto a causa di affollamenti, spostamenti, vicinanza e contatto. Scarsa potenzialità invece, viene rilevata per il rischio correlato alla potenziale contaminazione delle acque, da reflui o da escreti infetti presenti a monte dell’area di balneazione o diffusi da imbarcazioni.

Le linee guida INAIL/ISS relative al settore avevano già definito, a maggio, la necessità di un’adozione, da parte delle autorità locali, di piani che permettessero di prevenire l’affollamento delle spiagge, recependo in buona sostanza le disposizioni precedenti contenute nel DPCM del 26 aprile 2020. È certamente possibile notare come tali disposizioni siano state assorbite nel DPCM del 17 maggio 2020 che ha deliberato circa il riavvio delle attività produttive, dettando una sorta di check list relativa agli indirizzi operativi nazionali relativi alle misure di prevenzione negli stabilimenti balneari, ad eccezione, come vedremo, delle disposizioni relative al distanziamento sociale e alla distanza minima interpersonale, che sono state modificate, anche in seguito ad un accordo Stato-Regioni che è intervenuto a rimodulare ipotesi e possibilità.

Le recenti indicazioni dell’ISS per i bagnanti e i gestori di stabilimenti, poi, non hanno fatto altro che puntualizzare e specificare la necessità di misure di prevenzione, introducendo anche importanti norme ambientali, come la vigilanza su eventuali scarichi illeciti di reflui nei corpi idrici (mare, fiumi, laghi), il controllo degli impianti di depurazione e sugli scarichi da imbarcazioni, l’applicazione delle norme di controllo delle acque di balneazione.
È qui importante precisare, comunque, che il DPCM 17 maggio 2020 ha segnato sì il riavvio delle attività degli stabilimenti balneari, ma pur sempre a condizione che le singole regioni e province autonome accertino, in itinere, la compatibilità dello svolgimento delle suddette attività con l’andamento della situazione epidemiologica nel proprio territorio.
Il decreto stabilisce inoltre la necessità di individuare, a livello locale, protocolli o linee guida applicabili idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore, nel rispetto di quanto previsto a livello nazionale disciplinanti, nello specifico, l’accesso agli stabilimenti balneari e gli spostamenti all’interno dei medesimi, le modalità di utilizzo degli spazi comuni, la distribuzione e il distanziamento delle postazioni da assegnare ai bagnanti, le misure igienico-sanitarie per il personale e per gli utenti e tutte le restanti disposizioni relative in materia.
Si rimanda dunque, nella specificità, alle Ordinanze delle diverse Regioni italiane che hanno deliberato in materia. Tra tutte, è qui possibile prendere in considerazione, a titolo esemplificativo, l’ultima Ordinanza della Regione Lombardia datata 29 maggio 2020, “ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza”, che recepisce, in buona sostanza, le disposizioni di prevenzione nazionali, portando, comunque, delle discrete precisazioni circa le modalità di rilevamento della temperatura corporea del personale prima dell’accesso al posto di lavoro (che rimangono comunque valide anche per i clienti), ribadendo, altresì, il concetto fondamentale dell’importanza dell’informazione e della responsabilizzazione individuale da parte dei singoli individui nell’adozione di comportamenti rispettosi delle regole previste.

Esaminiamo adesso nel dettaglio le principali misure di prevenzione che sono state definite.

Al riguardo, possiamo certamente affermare che viene proposto un utilizzo di tecnologie innovative per consentire l’accesso contingentato agli stabilimenti balneari e alle spiagge attrezzate e viene suggerita la prenotazione obbligatoria, eventualmente anche online e per fasce orarie.
Tale prenotazione può certamente definirsi come un utile strumento organizzativo al fine della sostenibilità e della prevenzione di assembramenti, configurandosi anche come un’ottima modalità di registrazione degli utenti, allo scopo di rintracciare, in ottica retrospettiva, eventuali contatti a seguito di contagi.
Nel DPCM del 17 maggio 2020 e nell’ ultimo documento ISS, si sottolinea l’importanza di mantenere l’elenco delle presenze per un periodo di 14 gg, nel rispetto della normativa sulla privacy.
Per quanto riguarda i sistemi di pagamento, è raccomandato invece l’utilizzo di modalità veloci con carte contactless o attraverso portali/app web.
Le disposizioni prevedono poi la necessità di differenziare, ove possibile, i percorsi di entrata e uscita, attraverso la previsione di una segnaletica chiara, e di regolamentare gli accessi e gli spostamenti sulle spiagge, anche attraverso percorsi dedicati.
Non solo: nel DPCM si introduce la possibilità della promozione di un accompagnamento all’ombrellone da parte di uno “steward di spiaggia” o, comunque, del personale dello stabilimento adeguatamente preparato che possa illustrare ai clienti le misure di prevenzione da rispettare.
Il recente documento ISS sottolinea poi l’invito a utilizzare cartellonistica e locandine (in varie lingue e dunque comprensibili anche per utenti di altre nazionalità) con le regole comportamentali per i fruitori delle aree di balneazione e i bagnanti, allo scopo di prevenire e controllare i rischi.
Ma nel DPCM figurano anche altre novità fondamentali. Una di queste è la necessità di protezione della postazione dedicata alla cassa, la quale potrà essere dotata di barriere fisiche, come schermi separatori, ma, in alternativa, il personale dovrà in ogni caso indossare la mascherina e avere a disposizione gel igienizzante per le mani.
L’altra novità introdotta è rappresentata dalla facoltà di rilevare, tramite idonea attrezzatura, la temperatura corporea, impedendo l’accesso allo stabilimento, nel caso essa risulti superiore ai 37,5 °C.
Per quanto riguarda invece il corretto distanziamento sociale in spiaggia, se nell’iniziale documento INAIL/ISS la distanza minima consigliata tra le file degli ombrelloni veniva definita come pari a
cinque metri e quella tra gli ombrelloni della stessa fila a quattro metri e mezzo, nel DPCM del 17 maggio 2020 si è determinata la necessità di assicurare un distanziamento tra gli ombrelloni (o altri
sistemi di ombreggio) in modo da garantire una superficie di almeno 10 metri quadrati per ogni ombrellone, specificando, al contempo, che tale previsione debba essere rispettata indipendentemente dalla modalità di allestimento della spiaggia (per file orizzontali o a rombo).
Il DPCM precisa, inoltre, che tra le attrezzature di spiaggia (lettini e sedie a sdraio), nel caso in cui esse non siano posizionate nel posto ombrellone, deve essere garantita una distanza di almeno 1,5 m, modificando le previsioni delle linee guida che fissavano tale distanza minima nella misura di 2m.
È proprio sulla questione del distanziamento sociale che si rilevano le principali differenze fra il documento tecnico e il DPCM, laddove ad esempio le linee guida INAIL/ ISS stabilivano che per la fruizione di servizi igienici e docce avrebbe dovuto essere rispettato il distanziamento sociale di almeno 2 metri (a meno che non fossero previste barriere separatorie fra le postazioni), mentre il
decreto più recente fissa tale distanza ad almeno 1 metro.
Il DPCM, infatti, sottolinea qui l’importanza di riorganizzare gli spazi, per garantire l’accesso allo stabilimento in modo ordinato, al fine di evitare assembramenti di persone e di assicurare il mantenimento del distanziamento minimo tra gli utenti.

Si evidenzia, in ogni caso, la presenza di alcune eccezioni, come quelle relative alle persone che in base alle disposizioni vigenti non siano soggette al distanziamento interpersonale (membri dello stesso gruppo familiare o conviventi e accompagnamento di minori di anni sei o persone disabili), laddove si precisa che questo ultimo aspetto afferisce alla responsabilità individuale.
A tal riguardo, l’ultimo documento ISS tratta specificamente della necessità di garantire il distanziamento interpersonale di almeno 1 metro tra persone non appartenenti allo stesso nucleo familiare, in ogni circostanza, e dunque anche durante la balneazione.
Il DPCM continua poi con le disposizioni consigliando di privilegiare l’assegnazione dello stesso ombrellone ai medesimi occupanti che soggiornano per più giorni e
precisando che tali distanze potranno essere derogate per i soli membri del medesimo nucleo familiare o co-abitante.
Per le cabine, invece, si chiarisce che l’uso promiscuo è vietato, sempre ad eccezione dei membri del medesimo nucleo familiare o per soggetti che condividano la medesima unità abitativa.
In ogni caso, è certamente necessaria l’igienizzazione e la disinfezione. Per quanto riguarda i prodotti igienizzanti per le mani, ad esempio, si precisa e si ribadisce fermamente la necessità di renderli disponibili, sia per i clienti che per il personale, anche in più punti dell’impianto. Risulta fondamentale dunque fornire disinfettanti e DPI adeguati al personale (mascherine, schermi facciali, guanti) e utilizzare obbligatoriamente DPI in caso di contatti ravvicinati con bagnanti e attività a rischio.
Rispetto alle iniziali linee guida, si continua poi a raccomandare una regolare e frequente pulizia e disinfezione delle aree comuni (spogliatoi, cabine, docce, servizi igienici, etc.) che deve essere comunque assicurata dopo la chiusura dell’impianto.
Nel DPCM si introduce anche l’osservazione per cui le attrezzature come lettini, sedie a sdraio, ombrelloni etc. debbano essere disinfettati ad ogni cambio di persona o nucleo famigliare e si determina, in modo chiaro, il dovere di eseguirne la sanificazione a ogni fine giornata.
Al riguardo, il “Rapporto sulle attività di balneazione in relazione alla diffusione del virus Sars-CoV-2” dell’ISS sottolinea, comunque, di non trattare in alcun caso spiagge, terreni, arenili o ambienti naturali con prodotti biocidi.

Andando avanti con l’analisi, si rende noto che le pratiche di attività ludico-sportive che possono dar luogo ad assembramenti e giochi di gruppo sono da evitare e, per lo stesso motivo, deve essere inibito l’utilizzo di piscine eventualmente presenti all’interno dello stabilimento.
Al contempo, il DPCM introduce una puntualizzazione, per la quale gli sport individuali che si svolgono in spiaggia, come i racchettoni, o in acqua (è il caso del nuoto, surf, windsurf, kitesurf) possono essere praticati regolarmente, ovviamente nel rispetto delle misure di distanziamento interpersonale. Per gli sport di squadra come il beach-volley e il beach-soccer, invece, sarà necessario
rispettare le disposizioni delle istituzioni competenti.

Il recente documento ISS specifica poi il divieto di qualsiasi forma di aggregazione che possa creare assembramenti, quali, tra l’altro, attività di ballo, feste, eventi sociali, degustazioni a buffet. Interdetti anche gli eventi musicali con la sola eccezione di quelli esclusivamente di “ascolto” con postazioni sedute che garantiscano il distanziamento interpersonale.
Nel documento è ribadita la necessità di rispettare tutta una serie di indicazioni quali: la garanzia, in ogni circostanza, della vigilanza sulle norme di distanziamento sociale dei bambini, il generale rispetto del distanziamento interpersonale di almeno 1 metro, l’osservazione delle buone norme di igiene personale, inclusa la pulizia e la disinfezione frequenti delle mani, l’attenzione all’igiene respiratoria, laddove per starnutire e/o tossire è necessario farlo in fazzoletti di carta o nel gomito, l’uso, in generale, di mascherine quando le misure di distanziamento siano di difficile mantenimento.
Per quanto concerne invece le spiagge libere, le iniziali linee guida INAIL/ISS avevano già stabilito la necessità di fare riferimento a decisioni locali, tenendo conto delle specifiche caratteristiche di queste aree. Tale previsione è stata confermata poi dalle più recenti disposizioni. Nello specifico, dovranno, al riguardo, essere definite puntualmente a livello locale le modalità di accesso e di fruizione, individuando quelle più idonee ed efficaci e dovranno essere affissi nei punti di accesso alle spiagge libere cartelli in diverse lingue, contenenti indicazioni chiare sui comportamenti da tenere, in particolare relativamente al distanziamento sociale di almeno 1 metro ed al divieto di assembramento.
Andrà altresì mappato e tracciato il perimetro di ogni allestimento (ombrellone/sdraio/sedia), ad esempio con posizionamento di nastri, che sarà codificato rispettando le regole previste per
gli stabilimenti balneari. Questo permetterà agli utenti un corretto posizionamento delle attrezzature proprie, nel rispetto del distanziamento, al fine di evitare l’aggregazione.
Tale previsione permetterà di individuare il massimo di capienza della spiaggia, definendo in tal modo turnazioni orarie, e la prenotazione di spazi codificati, anche attraverso utilizzo di app/piattaforme on line. Tale modalità favorirà anche il contact tracing nell’eventualità di un caso di contagio.
Inoltre, dovranno essere valutate disposizioni volte a limitare lo stazionamento dei bagnanti sulla battigia per evitare assembramenti e assicurate opportune misure di pulizia della
spiaggia e di igienizzazione delle attrezzature comuni, come ad esempio i servizi igienici, se presenti.
Si precisa che la gestione di tali spiagge dovrà essere affidata ad enti/soggetti che possano utilizzare personale adeguatamente formato, valutando altresì la possibilità di coinvolgimento di associazioni di volontariato e soggetti del terzo settore, anche al fine di informare gli utenti sui comportamenti da seguire.

2.2 Indicazioni per le figure professionali operanti negli stabilimenti balneari

In merito alle misure di prevenzione e protezione a carico dei lavoratori citate nel documento tecnico dell’ISS-INAIL, riprese nel DPCM del 17 maggio 2020, viene suggerito, oltre ad un’informazione generale sul rischio SARS-CoV-2, di impartire anche un’informativa focalizzata verso specifiche norme igieniche da rispettare nonché all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale anche durante la vestizione/svestizione. Viene suggerito altresì di lavare frequentemente le mani tramite dispenser con soluzione alcolica.
Il personale addetto ad attività amministrative e gli operatori di cassa dovranno indossare mascherina chirurgica e per questi ultimi sarà necessario prevedere barriere di separazione tramite separatori
in plexiglas. Il personale addetto alle attività di allestimento e rimozione di ombrelloni e sdraio dovrà utilizzare guanti in nitrile.
Relativamente all’attività di salvamento in mare svolta dall’assistente bagnanti, invece, viene raccomandato di eseguire le sole operazioni di compressioni toraciche senza ventilazioni, valutando il respiro soltanto guardando il torace della vittima senza avvicinare il proprio volto a quest’ultima.
Qualora fosse disponibile un Defibrillatore Automatico Esterno è raccomandato di utilizzarlo seguendo la procedura standard di defibrillazione meccanica. Al termine della Rianimazione Cardio Polmonare, il soccorritore deve lavare accuratamente le mani con acqua e sapone o con gel a base di alcool. Si raccomanda altresì di lavare gli indumenti.
Indicazioni ribadite anche dal Ministero della salute, Direzione generale della prevenzione sanitaria, Ufficio 4, nella “Circolare n. 19334 del 5 giugno 2020 – Indicazioni emergenziali per il contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nelle operazioni di primo soccorso e per la formazione in sicurezza dei soccorritori”.

Discussione
3.1 Discussione della problematica relativa al contenimento del contagio da SarS-coV-2 negli stabilimenti balneari

Ad una prima valutazione da parte delle società gestori degli stabilimenti balneari delle iniziali linee guida messe a punto dall’INAIL/ISS relative al contenimento del contagio da SARS-CoV-2, si era evidenziato lo scontento dei diretti interessati, che, generalmente, avevano affermato che con tali disposizioni, il 50 per cento delle strutture probabilmente non avrebbe riaperto la stagione.
Nonostante il DPCM abbia provveduto a delineare regole più definite e forse meno stringenti, per la maggior parte dei rappresentanti delle associazioni di categoria a livello locale, i dubbi riguardo
l’organizzazione delle strutture restano tutt’oggi.

Alcune incertezze, infatti, sono state sollevate, ad esempio, circa l’eccessiva genericità delle norme che prevedono la regolare e frequente sanificazione di spazi e attrezzature, l’evitamento dei giochi di
squadra e delle attività che possono creare assembramenti e la garanzia, nell’effettivo, del mantenimento della distanza interpersonale.

Inoltre, alcuni dubbi sono stati sollevati circa la gestione degli spazi comuni: per raggiungere il bar infatti, spesso si passa dalla zona ristorante, con una conseguente promiscuità degli spazi. Va comunque detto che per il settore, esiste, in ogni caso, la necessità di rifarsi ai protocolli emanati per i bar e ristoranti.
Alcune perplessità rimangono, al riguardo, anche circa l’uso delle piscine, le aree giochi dei bambini e il metodo di accettazione dei clienti.
Ci si interroga poi su chi debba svolgere le funzioni di controllo all’interno dello stabilimento e su chi abbia la responsabilità formale per poter riprendere il cliente in caso sbagli.
Lorenzo Marchetti, presidente regionale CNA balneari, ritiene che sarebbe opportuna la più corretta e precisa informazione possibile al riguardo, per poter garantire, a residenti e turisti, la massima sicurezza, laddove la tutela della persona si configura come una priorità.
La necessità dei controlli, anche sulle spiagge libere, è poi sottolineata anche da Fabrizio Lotti, presidente dei balneari toscani di Confesercenti, che specifica come sia importante anche impedire l’accesso al litorale attraverso i bagni privati per limitare il passaggio di troppe persone insieme.
Sempre per quanto riguarda le spiagge libere, secondo quanto afferma Antonio Decaro, presidente dell’Anci, ci sarebbe un generale scontento anche dei Sindaci, che avrebbero la responsabilità di garantire la corretta applicazione delle norme di distanziamento in questi tratti di spiaggia.

Invece, relativamente alle tematiche dei prezzi e dei conseguenti possibili rincari, nonché circa le previsioni sulla possibile affluenza, Gianmarco Oneglio, responsabile regionale Liguria della Fiba Confesercenti, si dice convinto che, in buona sostanza, non ci saranno grossi aumenti di prezzo, ma che purtroppo saranno le strutture più piccole a soffrire maggiormente, a causa della loro
maggiore difficoltà a compensare i costi supplementari.
In ogni caso, si percepisce una cauta fiducia, prevedendo una discreta affluenza di connazionali e di stranieri. Positive anche le prime impressioni di Maurizio Rustignoli, presidente di Fiba Confesercenti, che, infine, in una sua recente nota, sottolinea come gli stabilimenti balneari, nel lungo weekend appena trascorso (quello del ponte del 2 giugno), abbiano riaperto in buona parte d’Italia.
Nonostante la prevedibile e fisiologica minore affluenza, la ripresa è dunque certamente possibile, e ciò è indubbiamente un ottimo segnale, se si pensa che soltanto a fine marzo/inizio aprile poteva essere alquanto improbabile poter aprire la spiaggia e far partire la stagione. I protocolli di sicurezza da parte degli stabilimenti sono dunque sicuramente attuabili, se pur con costi e attenzioni in più.

Conclusioni

Allo stato attuale, in definitiva, sembra che nonostante le disposizioni precauzionali ineludibili, ci siano buone prospettive di poter ripartire con la stagione balneare, tutelando sia le ragioni di sicurezza che quelle di imprenditorialità. Complice anche il bel tempo, il primo fine settimana utile di giugno per fare una (prima) valutazione, ha registrato una affluenza discreta nelle spiagge, rilevando, al contempo, come le persone siano state rispettose delle regole, recandosi nello stabilimento anche per toccarne con mano l’effettiva organizzazione. Addirittura, ci sono state anche diverse prenotazioni per l’estate, nelle aree turistiche. Resta fondamentale, comunque, la raccomandazione al buon senso nei comportamenti individuali, come l’obbligo della mascherina nei luoghi comuni e al chiuso e l’osservazione del distanziamento di almeno 1 metro, con un particolare focus sulla vigilanza dei bambini.

La raccomandazione alla responsabilità personale rimane valida ancor di più nelle spiagge libere, laddove si raccomanda di pulire e sanificare lettini, ombrelloni, sdraio, sedie, teli. Questa operazione è a
carico infatti dei cittadini: la sanificazione dovrebbe essere effettuata ogni volta, prima dell’utilizzo delle attrezzature e dei teli da mare.
E ancora, rispettare le distanze interpersonali, quelle tra ombrelloni e asciugamani, lavarsi spesso le mani e indossare le mascherine (è obbligatorio portarle con sé).
Importante al riguardo anche la previsione di necessari controllori, per garantire il rispetto delle regole (anche se non ci sono disposizioni definitive in merito) e la chiusura notturna delle spiagge per evitare affollamenti, previsione già valida in alcune Regioni, come la Toscana.

Bibliografia:

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l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL).
Decreto DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
DEI MINISTRI 17 maggio 2020. Disposizioni attuative
del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti
per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19,
e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, recante ulteriori
misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da
COVID-19.
RAPPORTO ISS COVID-19 • n. 36/2020 Indicazioni
sulle attività di balneazione in relazione alla diffusione del
virus SARS-CoV-2 Gruppo di Lavoro Ambiente-Rifiuti
COVID-19.
MINISTERO DELLA SALUTE, Direzione generale
della prevenzione sanitaria, Ufficio 4, nella “Circolare n.
19334 del 5 giugno 2020 – Indicazioni emergenziali per il
contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nelle operazioni
di primo soccorso e per la formazione in sicurezza dei
soccorritori”.
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in-ordine-sparso-ma-cercheremo-di-limitare-gli-aumenti.html
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balneare-in-sicilia-raggiunto-l%e2%80%99accordo.html
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http://www.fibaconfesercenti.it/fiba-massa-e-carrara-tutti-al-
mare-ma-non-si-sa-ancora-come.html
FIBA

(01/2020) D.LGS. 81/08 RISCHIO BIOLOGICO

LA COMUNICAZIONE BULIMICA COVID-19

di Sergio Vianello

articolo pubblicato su “Il Commerci@lista lavoro e previdenza” di Gennaio/Febbraio 2020

Dal punto di vista meramente tecnico, il titolo X° del Testo Unico della Sicurezza tratta l’argomento “rischio biologico” prendendo in considerazione “tutte le attività lavorative in cui vi è il rischio
di esposizione ad agenti biologici”
; l’agente biologico è classificato come microrganismo, coltura cellulare, endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie, intossicazioni.
La valutazione del rischio1 dipende dalla Magnitudo (quantità di danno) e dalla Probabilità (probabilità che si verifichi il danno); come qualsiasi valutazione, anche quella che coinvolge il rischio biologico si attiene a questo concetto.
Occorre però precisare che esistono delle importanti differenze, in termini di gravità, tra diversi tipi di rischio biologico: anche la polvere che si deposita su una tenda espone le persone in prossimità ad un rischio biologico, ma lo stesso è trascurabile rispetto, ad esempio, al rischio biologico che del sangue infetto può causare.

Gli agenti biologici sono classificati dai
seguenti parametri:

  • infettività;
  • trasmissibilità;
  • patogenicità;
  • neutralizzabilità.

Inoltre, sono ulteriormente suddivisi in quattro gruppi, accomunati dal fatto che possono ingenerare patologie nell’uomo sano e dalla disponibilità di un vaccino efficiente:

  • primo gruppo: presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani;
  • secondo gruppo: può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaghi in comunità; sono disponibili efficaci misure profilattiche o
    terapeutiche;
  • terzo gruppo: può causare gravi malattie in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; può presentare un elevato rischio di propagazione in comunità ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
  • quarto gruppo: può causare gravi malattie in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; può presentare un elevato rischio di propagazione in comunità ma non sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche.

Ma il COVID-19 può essere considerato un rischio biologico?
Secondo la classificazione sopra menzionata, per classificare il corona virus quale rischio biologico, dovrebbe essere disponibile un vaccino efficiente (allo stato attuale non disponibile); inoltre, dovrebbero essere disponibili efficaci e certe misure profilattiche o terapeutiche proporzionate al danno (aspetto non ancora affinato). Unica certezza è che il COVID-19 ha un elevato rischio di propagazione.

Il d.lgs. 81/08 obbliga comunque il datore di lavoro alla valutazione di tutti quei rischi che fanno parte del processo lavorativo (rischi professionali), cioè quei rischi a cui è esposto il lavoratore nell’espletamento della sua attività lavorativa, nella sua specifica mansione e nella sua organizzazione aziendale.

Anche il rischio derivante dal COVID-19 può essere un rischio da valutare, ma solo se questo determina un incremento dei rischi rispetto a quelli che i lavoratori hanno già nella propria attività.

Ovviamente risulterà più semplice considerare l’incremento del rischio biologico per un operatore sanitario rispetto a un addetto ad uno sportello pubblico o ad un impiegato di uno studio professionale. A parità di magnitudo, la probabilità varia a seconda dell’attività svolta, l’unica certezza deriva dal fatto che, in assenza di un vaccino e di efficaci e certe misure profilattiche o terapeutiche, l’unica misura utile per migliorare il valore assoluto del rischio è quella di affidarsi alla prevenzione.

Diversa dalla valutazione è la percezione del rischio che è influenzata sensibilmente dalla comunicazione.
Gli eventi rari ma eclatanti sono sovrastimati rispetto ad eventi che attirano di meno l’attenzione, sebbene siano più frequenti.” (Illusione del controllo, Langer 1975)

In questo ultimo mese ci stiamo confrontando con la necessità di gestire un rischio straordinario e sul quale non abbiamo ancora il controllo, sappiamo solo che è particolarmente infettivo con un
elevato rischio di propagazione.
Le indicazioni relative alla gestione di questo specifico rischio sono di competenza degli organi di vigilanza sanitaria, eppure non possiamo trascurare tutte quelle che sono le implicazioni psicologiche derivanti da una situazione che viene percepita come completamente fuori dal nostro controllo.

Ecco alcuni degli elementi principali che influenzano la nostra percezione del rischio:

VOLONTARIO
oppure
INVOLONTARIO
(imposto da altri)
Si è osservata una tendenza a sentirsi immuni dal rischio se si è scelto di affrontarlo volontariamente
NOTO
oppure
OCCULTO
Il rischio che non è stato reso noto, una volta trapelato si trasforma fatalmente in rischio occultato, poi percepito come fortemente pericoloso e quindi fortemente ansiogeno
FAMILIARE
oppure
NUOVO
Si è osservata una tendenza alla sottovalutazione del rischio quando esso è familiare
NATURALE
oppure
ARTIFICIALE
(imputabile all’uomo)
Le calamità naturali sono percepite come maggiormente pericolose
In questo specifico caso ci troviamo di fronte a tutti gli elementi che possono portare a percepire emotivamente il rischio nel modo più negativo possibile.

Data la delicatezza della situazione, il ruolo della comunicazione da parte delle istituzioni e soprattutto dei media diventa fondamentale

Purtroppo, situazioni di questo genere possono essere facilmente manipolate in termini di comunicazione di massa e di conseguenza, possono sensibilmente influenzare stati emotivi e comportamenti delle persone.

I pericoli1 che possono derivare da una comunicazione trascurata possono essere così riassunti:

CARATTERISTICHEPOSSIBILI CONSEGUENZE
INSISTENTE
Bombardamento di notizie 24/24
Rimuginazione del pensiero sul tema e incremento dell’ansia. Negazione del tema perché percepito come troppo pervasivo e rischio di sottovalutazione dello stesso
NEGATIVA
A livello psicologico viene percepito differentemente dire che, ad esempio, “il 10% della popolazione è colpita” rispetto a “il 90% della popolazione è immune”
Insorgenza di allarmismo anche se non necessario
CONFLITTUALE ED AGONISTICA
dire: “il virus arriva dalla Cina” è diverso rispetto a dire “i cinesi sono portatori del virus”; nella pratica, può arrivare dalla Cina veicolato da chiunque
Genera paura e quindi rabbia nei confronti di ciò che non si conosce direttamente; rischio di violenza
È pertanto corretto e doveroso, per arginare ulteriori conseguenze negative di questa già difficile situazione con altre positive, indicare ciò che sarebbe opportuno fare, piuttosto che indicare ciò che non va fatto.

Comunicare in positivo significa usufruire dei seguenti vantaggi:

  • la frase grammaticalmente risulta più corta;
  • la frase concettualmente diventa più chiara;
  • sotto stress il carico cognitivo è molto alto, l’attenzione è distribuita ed il contesto è ostile.

Una frase in positivo arriva più facilmente all’individuo
Tutto ciò che viene espresso in negativo invece che essere ignorato acquista potere e si rafforza.

Ognuno ascolta solo ciò che capisce

Wolfang Goethe


La percezione del rischio è personale: decidiamo di affrontare o evitare la situazione di rischio in modo soggettivo.
Ogni nostra attività quotidiana è basata sulla percezione che noi abbiamo del rischio ed è il frutto di una sua conscia (o inconscia) valutazione. La percezione del rischio è fortemente influenzata dalle
emozioni relative alla scoperta di un nuovo pericolo e del possibile danno che può arrecare.

Per quanto sopra, coloro che vogliono comunicare un rischio, dovrebbero principalmente:

  • verificare le fonti delle informazioni, prima di divulgarle;
  • informare a 360° su cosa sia il rischio, quali le implicazioni;
  • “dare i numeri” in maniera completa: sospetti, accertati, guariti, immuni…;
  • favorire la cooperazione e la solidarietà (il virus, a differenza di noi, non discrimina).

(11/2019) SICUREZZA – LA RESPONSABILITA’ NEL PROCESSO EDILIZIO

di Sergio Vianello

pubblicato su “Il Commerci@lista lavoro e previdenza”, novembre 2019

Sempre più spesso in occasione delle ristrutturazioni di appartamenti, le persone si affidano esclusivamente alla valutazione di preventivi emessi da imprese che li redigono con un loro capitolato, sulla base di sommarie indicazioni fornitegli, sovente, come espressione di desideri latenti che però tecnicamente il committente, se tecnico non è, non è in grado di descrivere come vorrebbe.

Di solito, supponendo di comprendere quanto esposto nei preventivi ricevuti e basandosi quasi esclusivamente su quanto verbalmente riferito dall’impresa in fase di ricezione dell’offerta, l’ignaro committente sceglie quasi sempre l’impresa che costa di meno oppure quella che si sa “vendere” meglio.

È appena il caso di far notare che, anche nella ristrutturazione di un semplice bagno, sono necessari sia adempimenti di natura legislativa che altri, non meno importanti, di semplice opportunità.

Per introdurre la tematica ritengo utile richiamare alcuni aspetti del problema propedeutici all’argomento.

Il testo di riferimento per tutti i lavori edili è il Testo Unico dell’Edilizia (T.U.E.), DPR 380/2001 e s.m.i. il quale specifica che gli unici interventi edilizi che non richiedono un titolo abilitativo (quello che un tempo era chiamato -concessione edilizia-) sono gli interventi di manutenzione ordinaria o di rifinitura, cioè gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti (es. : opere di imbiancatura, di rifacimento pavimenti e/o rivestimenti, di diversa disposizione dei sanitari o la sostituzione della vasca con una doccia …).

Tradotto vuol dire: a casa tua fai quello che vuoi, ma sappi che se ti succede qualcosa sono fatti tuoi!

Infatti, in tema di sicurezza nelle attività edili, il titolo abilitativo non è fattore discriminante; anche una attività “libera”, cioè che non necessita di titolo abilitativo, nella stragrande maggioranza dei casi è soggetta al titolo IV de d.lgs. 81/2008 – (testo unico della sicurezza) cantieri temporanei mobili -.

Nella salute e sicurezza sul lavoro, la posizione di garanzia (responsabilità penale) è detenuta dal datore di lavoro/committente, che è il soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata. Egli può delegare però le sue responsabilità in materia di sicurezza al responsabile dei lavori ma, se non lo fa, deve essere ben chiaro che diventa proprio lui il responsabile dei lavori, cioè la figura che, già nelle fasi di progettazione dell’opera, deve attenersi ai principi e alle misure di sicurezza stabiliti dalla legge.

Volendo fare un esempio che possa risultare significativo a quanto sopra espresso, proviamo a prendere in considerazione il caso di un operaio che, senza indossare il prescritto casco di protezione, intento a lavorare in un appartamento, venga colpito in testa da un mattone caduto dal soffitto: ebbene la responsabilità penale ricade senza dubbio, così come acclarato più volte nelle sentenze di cassazione, sul responsabile dei lavori/committente, per non aver vigilato sul comportamento del lavoratore, nonostante questi abbia compiuto un gesto d’imperizia, negligente o imprudente.

Sempre in merito alle responsabilità del datore di lavoro/responsabile dei lavori, è bene ricordare che egli ha il preciso onere di scegliere imprese che possano dimostrare la loro idoneità tecnica professionale ai sensi degli articoli 26 e 90 del d.Lgs. 81/2008; in caso contrario, qualora si dovesse infortunare un lavoratore di una impresa che non possieda tali requisiti, la posizione di garanzia e quindi la responsabilità penale non può che ricadere sul datore di lavoro/responsabile dei lavori che ha omesso tale fondamentale adempimento.

La legge viene però in aiuto al datore di lavoro/responsabile dei lavori, infatti, ai punti 91 e 92 del d.Lgs. 81/2008 prevede l’obbligo di nomina di un tecnico specializzato in sicurezza per coordinare le attività edili chiamato rispettivamente: coordinatore della sicurezza in fase di progettazione (CSP) e coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione (CSE). Il CSP in alcuni casi può non essere necessario (lavori privati di modesta entità con importo inferiore a 100.000 euro); il CSE, è invece sempre obbligatorio qualora l’appalto sia eseguito da almeno due imprese (es.: muratore con elettricista o con l’idraulico).

Se gli adempimenti di sicurezza in attività libere sono obbligatori, a maggior ragione lo sono in quelle attività per le quali il DPR 380/2001 (testo unico dell’edilizia) prevede l’ottenimento di specifici titoli abilitativi.

I titoli abilitativi maggiormente significativi sono i seguenti:

1. cila – comunicazione inizio lavori asseverata;

2. scia – segnalazione certificata di inizio attività;

3. pdc – permesso di costruire.

La cila si deve utilizzare ad esempio per lo spostamento di tramezzi e porte, salvo che gli interventi non interessino parti strutturali e non vi sia un aumento delle unità immobiliari.

La scia si deve utilizzare per gli interventi di manutenzione straordinaria, cioè quelle opere che riguardano le parti strutturali dell’edificio, oppure la realizzazione o l’integrazione di servizi igienico-sanitari e tecnologici, oppure il frazionamento o l’accorpamento di unità immobiliari distinte.

Il pdc è richiesto invece per opere maggiori, quali ad esempio quelle di nuova costruzione o che comportano lavori che mutino in tutto o in parte l’organismo edilizio o ancora che modifichino la volumetria, ….

Per le autorizzazioni di queste opere soggette a titolo abilitativo, è indispensabile indicare:

• il titolare del titolo abilitativo;

• il committente;

• la ditta affidataria;

• il progettista delle opere architettoniche;

• il direttore dei lavori delle opere architettoniche;

• il progettista delle opere strutturali (se esistono);

• il direttore dei lavori delle opere strutturali (se esistono).

Il titolare del titolo abilitativo, ovvero il committente e il costruttore, sono responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica e alle previsioni del piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del titolo abilitativo e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo.

Riguardo le funzioni del direttore lavori vi è abbondate giurisprudenza che ben ne specifica le mansioni, ma in breve egli è il soggetto che da una parte è fiduciario del Committente per gli aspetti di carattere tecnico, e dall’altra parte è garante nei confronti del Comune dell’osservanza e del rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all’esecuzione dei lavori.

Il Direttore Lavori come precedentemente specificato, è indispensabile per qualsiasi richiesta di titolo abilitativo, ma potrebbe non essere chiamato in causa nelle attività edili libere che pertanto sono soggette al solo controllo del committente, ammesso che ne abbia la competenza.

Sembrerebbe inutile sottolineare che il Direttore Lavori debba essere nominato/pagato dal committente/responsabile dei lavori, ma molto spesso questa fondamentale figura tecnica è “ricompresa” nel prezzo dei preventivi delle imprese, con un chiaro e netto conflitto di interessi.

In conclusione, occorre non sottovalutare gli appalti di opere edili, sia quelli di considerevole entità tecnica ed economica che quelli di natura minore. Infatti tante sono le sentenze di condanna penale che sono state emesse nei confronti dell’ignara “signora Maria” che si era trovata, da sola, a gestire opere edili in occasione di un infortunio; come tante sono le vertenze civili tra imprese e committenti trovati da soli a controllare imprese non idonee o che semplicemente non avevano interpretato sufficientemente i desideri del committente.

(09/2019) IL TESTO UNICO DELLA SICUREZZA NEL TERZO SETTORE

di Sergio Vianello

articolo pubblicato su “Il Commerci@lista lavoro e previdenza” di Settembre/Ottobre 2019

La tutela dell’integrità psico-fisica dei lavoratori è un principio assoluto garantito dalla Costituzione; il Codice Civile, inoltre, all’art. 2087 obbliga l’imprenditore ad “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Grazie alla notevole elaborazione giurisprudenziale e all’evoluzione della normativa comunitaria, il diritto alla salute ha assunto un significato progressivamente più ampio, spostandosi dalla mera garanzia dell’incolumità fisica, sino ad un vero e proprio diritto ad un ambiente lavorativo sicuro e salubre: lavorare in sicurezza significa rispettare il lavoratore come persona mettendo in primo piano esigenze etiche spesso sottovalutate e garantire un sistema di lavoro in linea con le normative europee. Nello specifico, l’art. 2 della legge 11 agosto 1991, n. 266 “Legge quadro sul volontariato”, definisce l’attività di volontariato come quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà.
L’attività di volontariato non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse.

La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte.

L’art 4 del Decreto 13 aprile 2011 “Disposizioni in attuazione dell’articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro” definisce
la differenza tra volontario “organizzato” e “non organizzato”.
Il “volontariato non organizzato”, è composto da persone che prestano un servizio gratuito e libero senza però essere formalmente associati ad uno dei soggetti disciplinati dalla legge n. 266/1991, che
regolamenta le organizzazioni di volontariato (si pensi, per esempio, a tutti i collaboratori delle parrocchie, cioè a tutte quelle persone di “buona volontà” che, condividendo le finalità dell’ente, gratuitamente prestano il loro servizio in ambito parrocchiale).
Il “volontario organizzato” è quello che opera “…nelle cooperative sociali, agli appartenenti alle organizzazioni di protezione civile, della Croce Rossa Italiana, del corpo nazionale soccorso alpino e
speleologico, ai corpi dei Vigili del Fuoco Volontari delle Province Autonome di Trento e di Bolzano e alla componente volontaria del Corpo Valdostano dei Vigili del Fuoco oggetto del decreto del 13 aprile …”
Per affrontare la problematica relativa al terzo settore, occorre però premettere e ricordare che la figura del lavoratore, in ordine all’applicazione delle disposizioni sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, deve essere inquadrata nella definizione di cui all’art. 2 comma 1 lettera a) del d.lgs. 9 aprile 2008 n.81 che definisce lavoratore la “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”.

Tutto ciò soprattutto in relazione alla complementare nozione di datore di lavoro di cui alla lettera b) del medesimo articolo “… «datore di lavoro»: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. …”; nonché a quella di azienda di cui alla successiva lettera c): “… «azienda»: il complesso della struttura organizzata dal datore di lavoro pubblico o privato; …”

Le disposizioni contenute nel decreto legislativo 81/2008, in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, si applicano ai volontari, ma solo quelli definiti organizzati, in quanto intervengono in luoghi e/o ambienti comunque organizzati da un datore di lavoro.

Per i lavoratori con vincolo di subordinazione l’applicazione del Testo Unico è integrale, mentre l’art. 3, comma 12-bis del testo unico specifica che per i volontari nelle organizzazioni, si applicano solo le disposizioni di cui all’articolo 2l 1 del presente decreto che prevede, come per i lavoratori autonomi cosi come definiti dall’art. 2222 c.c., per i componenti dell’impresa familiare (art. 230 bis c.c.) e per i piccoli imprenditori (art. 2083 c.c.) i seguenti obblighi:

  • utilizzare attrezzature di lavoro e dispositivi di protezione individuale conformi alla nuova normativa;
  • munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di legge;
  • munirsi, in caso di appalto o subappalto, di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità.

A detti soggetti è tuttavia riservata la facoltà, con oneri a proprio carico, di:

  • beneficiare della sorveglianza sanitaria;
  • partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte.

Ai fini della corretta valutazione dei disposti legislativi, ai sensi della lettera g), articolo 4, i volontari non devono essere computati per la determinazione del numero di lavoratori, ove il decreto preveda particolari obblighi derivanti dal numero dei lavoratori (riunione periodica obbligatoria, prove d’evacuazione, elezione RLS, procedure semplificate per il dvr,…).
Il concetto di volontariato è assimilabile a quello del lavoro autonomo, che presuppone che non sussista vincolo di subordinazione2 al datore di lavoro e pertanto senza i presupposti di assoggettamento, con l’obbligo di un determinato orario di lavoro più o meno flessibile ma comunque determinato.
La differenza del volontario rispetto al lavoratore autonomo è la retribuzione. Il lavoratore autonomo infatti svolge una prestazione professionale dietro compenso ben definito, il volontario invece presta la propria opera gratuitamente, in quanto possono essere soltanto rimborsate le spese vive effettivamente sostenute per l’attività prestata.

Sono esclusi dalle obbligazioni del d.lgs 81/08, tutti coloro che appartengono al mondo del “volontariato non organizzato”, ovvero le persone che prestano un servizio gratuito e libero senza però essere formalmente associati ad uno dei soggetti disciplinati dalla legge sul volontariato.
Ciò non significa però che il titolare dell’attività di volontariato non sia comunque titolare di un obbligo di garanzia, ad esempio in relazione alla conservazione delle parti comuni dell’edificio, infatti, con riguardo al reato colposo per condotta omissiva, la sua responsabilità va considerata e risolta nell’ambito dell’art. 40 del codice penale, secondo cui «non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo». L’affermazione della colpevolezza di tale soggetto presuppone sia l’individuazione della condotta in concreto esigibile in relazione alla predetta posizione
di garanzia, sia l’accertamento che, una volta posta in essere tale condotta, l’evento lesivo non si sarebbe verificato.
La responsabilità del titolare delle organizzazioni di volontariato è comunque a favore di chiunque a qualsiasi titolo acceda ai luoghi in sua disponibilità giuridica e quindi anche nei confronti di volontari non organizzati; la responsabilità deve essere correlata non solo agli obblighi specifici di sicurezza a tutela delle attività organizzate, ma anche agli obblighi generali di non esporre chicchessia a rischi generici o ambientali.
Una sentenza significativa è quella della Corte di Cassazione Penale Sezione IV che con sentenza n. 6408 del 11 febbraio 2019 stabilisce che il Parroco assume una posizione di garanzia nei confronti di chi, anche volontariamente, effettua dei lavori all’interno della sua chiesa per cui è responsabile per l’infortunio di un lavoratore caduto da una scala durante i lavori di pitturazione.
Altra sentenza dalla quale discende un importante indicazione è quella della Cassazione Penale Sez. IV – Sentenza n. 7730 del 20 febbraio 2008, con la quale il parroco è stato condannato per reato di lesioni colpose aggravate, in quanto:

  • “ … le norme di prevenzione degli infortuni si applicano anche nel caso di prestatori d’opera volontari assumendo la persona per conto della quale gli stessi operano una posizione di garanzia nei loro confronti specie se vengono poste a disposizione degli stessi attrezzature di lavoro che risultano irregolari.”
  • “ … l’approntamento di misure di sicurezza e quindi il rispetto delle norme antinfortunistiche esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, essendo stata riconosciuta la tutela anche in fattispecie di lavoro prestato per amicizia, per riconoscenza o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato, purché detta prestazione sia stata effettuata in un ambiente che possa definirsi di lavoro”.

Ma non sono solo i Parroci che assumono la posizione di garanzia nei confronti dei volontari; con la sentenza della Cassazione Penale, Sez. 4, 22 novembre 2013, n. 46782, per l’infortunio mortale di un volontario, è stato condannato il comandante della polizia municipale e capo della protezione civile del comune che ha esercitato poteri direttivi di fatto (art. 299 d.lgs. 81/08).

Importante rilevare che chi riveste la posizione di titolare dell’associazione, che questa sia organizzata o non, deve tutelare l’incolumità non solo di coloro che quasi quotidianamente o anche solo occasionalmente prestano attività lavorative all’interno dei locali o nelle pertinenze, ma anche delle imprese appaltatrici, dei lavoratori autonomi e dei terzi che accedono a diverso titolo alle parti comuni.

(06/2019) “IN CANTIERE NON SI INVECCHIA”

la sicurezza nell’edilizia per i lavoratori anziani

di Sergio Vianello

pubblicato su “Editoriale FOIM”, giugno 2019

L’invecchiamento della forza lavoro è un tema tanto attuale come sottovalutato o, piuttosto, trascurato. Eppure i dati non lasciano dubbi. A partire da quelli demografici che mostrano come l’Italia sia una nazione sempre più “vecchia”: le persone con 65 anni e più costituiscono quasi il 22% della popolazione, mentre quelle fra 0 e 14 anni solo il 14%, con un’età media che si attesta intorno ai 45 anni. Inoltre, la speranza di vita di quasi 84 anni per la donna e di 80 anni per l’uomo fa dell’Italia il secondo Paese al mondo con più anziani, dietro al Giappone (ISTAT 2015). A questo vanno aggiunti elementi quali bassi tassi di natalità e di fecondità.

Tuttavia, tralasciando le pesanti conseguenze sociali del crescente “debito demografico” nei confronti delle generazioni future in termini di sostenibilità (sistema previdenziale e assistenziale), il progressivo invecchiamento della popolazione si riflette su ogni aspetto della vita sociale del Paese, occupazione compresa.

Quando si immaginano le criticità derivanti dall’invecchiamento della popolazione, generalmente si prende in considerazione la progressiva contrazione delle persone in età attiva (fra i 15 e i 64 anni) e il conseguente forte rischio di tenuta dell’intero sistema previdenziale; secondo stime si passerebbe, infatti, dall’attuale 64% al 54,7% del 2065.

Molto meno spesso, invece, si considera che già oggi, una sempre maggiore quota di popolazione anziana è in grado di incidere sulle attività produttive. Accade che la cosiddetta “struttura della forza lavoro” sia sempre meno simmetrica: a una quota di persone tra i 20-54 anni più ridotta in numero, corrisponde una, tra i 55-59 anni, via via più nutrita. Quali che siano le cause (invecchiamento, bassa natalità, stagnazione o crisi occupazionali, innalzamento età pensionabile) è evidente come gli ultra cinquantacinquenni non sono più solo lavoratori in uscita, ma parti integranti della forza lavoro(1).

In cifre: dal 2005 al 2015 il tasso di occupazione delle persone fra i 55 e i 64 anni è complessivamente cresciuto dal 31,4% al 48,2%.

Un problema quello dell’invecchiamento della forza lavoro che si riflette sulla produttività, sull’organizzazione aziendale e che ha forti implicazioni anche sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori. Il gap generazionale tra lavoratori giovani e anziani incide, inoltre, su vari aspetti della vita lavorativa: concentrazione, riflessi, vigoria, attitudine all’apprendimento. Se ciò vale per occupazioni dove è sollecitata più la mente che la forza fisica, è facile immaginare che vi saranno conseguenze più profonde quando è invece la seconda ad essere maggiormente stimolata.

Oggi si cerca di intervenire, specialmente in azienda, con soluzioni che possono facilitare lo svolgere delle attività ai lavoratori anziani: postazioni ergonomiche, attrezzatura di supporto, interfaccia di device più chiare, etc.

Un’attenzione crescente al tema che, tuttavia, non è né generalizzata né trasversale, riguardando soprattutto il comparto industriale e, purtroppo, molto meno altri settori.

Fra questi vi è quello delle costruzioni, certamente tra i più pericolosi per l’incolumità del lavoratore.

L’edilizia, infatti, già di per sé si caratterizza come un ambito con un’elevata presenza di malattie professionali e con il più alto indice infortunistico. Spesso di casi mortali. Una tendenza che, pur decrescendo, non ha smesso di essere rilevante: si è passati dai 109 decessi del 2013 agli 80 del 2017 (dati INAIL 2018).

Basti pensare al rischio derivante dal lavoro in quota. Le cadute dall’alto rappresentano, infatti, un terzo degli infortuni nell’edilizia; nello specifico da tetti o coperture, da scale o ponteggi, da parti in quota di un edificio (balconi, terrazzi etc.) e da macchine da sollevamento.

Per lavorare su ponteggi o tetti è richiesta non solo esperienza e prudenza, ma anche una condizione fisico-psichica ottimale; il che significa avere un corpo allenato, agile, forte, libero da dolori o da limitazioni dovute al naturale passare degli anni o a patologie sopravvenute nel tempo.

Un comportamento che dovrebbe riguardare innanzitutto il buonsenso e la logica e che, tuttavia, non viene quasi mai messo in pratica o rispettato. Ogni giorno, in cantieri di diverse dimensioni, lavoratori anziani mettono a repentaglio la propria incolumità continuando a svolgere mansioni che dovrebbero essere ad appannaggio solo di individui più giovani.

Qual è la ragione del perdurare di questo continuo stato di rischio? Non esistono leggi o norme che tutelino queste categorie di lavoratori, magari agevolandone il pensionamento?

Tra le undici categorie professionali di lavoratori dipendenti definite dalla normativa, c’è quella dell’edilizia e della manutenzione degli edifici. Infatti, a seguito del D.lgs. 4/2019, le categorie di lavoratori con attività gravose hanno facoltà di chiedere l’APE sociale (“se hanno raggiunto il sessantatreesimo anno di età unitamente ad almeno 30 o 36 anni di contributi”), oppure la possibilità di ritirarsi con la pensione anticipata al raggiungimento di 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica a condizione, però, di vantare almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del diciannovesimo anno di età. Vi sono tuttavia due importanti discriminanti.

La prima è che l’accesso ai benefici sopra elencati resta ancorato a un vincolo di bilancio annualmente stabilito; ovvero: se vi sono le risorse finanziarie è possibile, altrimenti vi è il posticipo della data di decorrenza del beneficio.

La seconda è che l’accesso a queste forme di prepensionamento resta valido solo per i lavoratori dipendenti. Per gli autonomi e gli artigiani, invece, non è previsto nulla di simile. E questa limitazione, in un certo senso, aggrava il problema considerando che nei cantieri lavorano in percentuale preponderante proprio gli autonomi.

Idraulici, muratori, manovali, elettricisti, serramentisti, gessisti e altri: sono molti i professionisti non inquadrati come dipendenti che si alternano in un cantiere durante le diverse fasi della costruzione. Un esercito di persone spesso privo di tutele, senza obbligo di formazione e sorveglianza sanitaria, carente di informazione e addestramento e che lavora in subappalto o talvolta senza un regolare contratto.

Lavoratori – proprietari di ditte individuali o detentori di partite IVA – che non dispongono di paracadute sociali e supporti nel caso di malattia temporanea o inidoneità a certe mansioni derivante da una delle numerose e probabili malattie professionali che possono colpire con l’avanzare dell’età.

Individui “costretti” a lavorare anche in caso di difficoltà e non perfetta forma fisica, con tutte le conseguenze negative che ciò può comportare.

Non solo, in una tale situazione va aggiunto un ulteriore elemento di criticità. Nessun lavoratore “edile” può in nessun caso usufruire delle agevolazioni pensionistiche previste dal D.lgs 67/2011 per quei lavori definiti “usuranti”, non rientrando – in maniera sorprendente – in nessuna delle tipologie previste dalla legge.

Quindi, quale soluzione per rendere più tutelato chi lavora nell’edilizia? Mutare completamente la situazione in tempi brevi è utopistico. Tuttavia, si possono mettere in pratica alcuni correttivi in grado di migliorare la condizione di chi vive di edilizia.

Il primo è, per l’appunto, far rientrare il lavoratore fra coloro che svolgono occupazioni “usuranti”.

Il secondo potrebbe riguardare l’obbligatorietà della formazione, specie in materia di sicurezza e sorveglianza sanitaria.

Il terzo, potrebbe riferirsi a una professionalizzazione obbligatoria di coloro che in un cantiere operano. Cosa che oggi purtroppo non avviene: chiunque, senza la minima preparazione o conoscenza tecnica può aprire una ditta edile e proporsi sul mercato. Ed è forse su questo ultimo versante che l’ingegnere – quale figura che ha profonda cultura tecnica – può intervenire, facendosi promotore di una rinnovata visione del lavoro in cui alla base vi sta il sapere e, di conseguenza, lo svolgimento delle attività in tutta sicurezza.

(09/2018) L’INVECCHIAMENTO NEL MONDO DEL LAVORO – RISCHIO DI GENERE

di Sergio Vianello e Stefania Chiesa

pubblicato su “Il Commerci@lista lavoro e previdenza”, settembre 2018

Diverse sono le definizioni per definire ciò che è inevitabile: “l’invecchiamento”; quella di seguito è molto tecnica anche se in quanto tale generalizzata.

“Processo biologico progressivo caratterizzato da cambiamenti che comportano per l’organismo una diminuzione progressiva e continua della capacità di adattamento all’ambiente, riduzione delle riserve funzionali d’organo e d’apparato e conseguentemente riduzione della capacità di sopravvivere ed una crescente probabilità di morire o un’aumentata fragilità”. (G. Ricci, 2013, in Schena F.)

Premesso che il fenomeno dell’ invecchiamento è sicuramente influenzato dalle caratteristiche fisiologiche del lavoratore, non si possono però trascurare gli altri parametri essenziali per renderlo intelligibile:

• la tipologia di attività svolta (alcune particolarmente usuranti, si pensi ad esempio ai lavoratori del comparto edile);

• gli anni di attività (in alcuni casi il percorso lavorativo inizia molto prima di quello contributivo – lavoro minorile e/o in nero);

• il genere (non c’è dubbio che la differenza di genere, con il passare degli anni almeno per alcune attività, possa causare maggiori stress fisici lavorativi alle donne rispetto a quello degli uomini).

Negli anni ’70 sino alla riforma Dini e Amato, l’attività lavorativa di lavoratori “anziani” con età sopra i 60 anni, era limitata a meno del 20%.

Le successive riforme avevano innalzato l’età della pensione di vecchiaia a 65 anni per gli uomini e a 60 per le donne; le pensioni di anzianità invece prevedevano un minimo di 37 anni di contributi dal 1995.

La riforma Fornero, innalzando l’età per la pensione di vecchiaia a 67 anni e quella di anzianità a 42, ha comportato un nuovo aumento dell’effettiva età in cui i lavoratori si ritirano dal lavoro.

A seguito delle riforme pensionistiche negli ultimi anni è aumentato considerevolmente il numero di lavoratori tra i 55 e i 60 anni ancora in attività.

Le modifiche funzionali per organo o funzione, nell’invecchiamento fisiologico in età lavorativa di seguito evidenziate, sono ben indicate in un rapporto esplicitato da Donatella Talini, Tiziana Vai, Carlo Nava nel libro “Aging E-book, il Libro d’argento su invecchiamento e lavoro”:

• capacità visiva: “difficoltà di accomodazione (nella messa a fuoco per fissare oggetti vicini) per rigidità del cristallino e/o indebolimento dei muscoli ciliari, che si compensa con lenti; riduzione di campo visivo (fino a 20-30°) e di acuità visiva; riduzione di percezione della distanza degli oggetti e della distinzione tra colori scuri molto simili; maggior sensibilità all’abbagliamento per cataratta iniziale o per minor velocità degli adattamenti della pupilla alla luce, particolarmente evidente in caso di scarsa illuminazione, di abbagliamento o di caratteri od oggetti molto piccoli”;

• capacità uditiva: “problemi di presbiacusia con difficoltà alla percezione delle frequenze più alte (valutare anche l’eventuale pregressa esposizione a rumore in ambito lavorativo), e difficoltà alla percezione delle comunicazioni verbali in ambiente rumoroso”;

• equilibrio: “alterazioni a livello degli input sensoriali (sindromi vertiginose, deficit vestibolari)”;

• massima forza muscolare: “dai 20 ai 60 anni si perde dal 15% al 50% di forza muscolare, con conseguente ridotta tolleranza allo sforzo intenso acuto, maggiore affaticabilità, maggiore vulnerabilità per sovraccarico biomeccanico cumulativo (ricordiamo che la definizione di sforzo sulla scala di Borg è individuale)”;

• articolazioni: “la funzionalità si riduce lentamente e può rendere difficile il lavorare in posture estreme; oltre i 45 anni si ha un progressivo incremento dell’osteoartrosi, eventuali effetti del sovraccarico biomeccanico cumulativo (coxartrosi, gonartrosi, rizoartrosi…). Minor resilienza al sovraccarico cumulativo muscolo tendineo”;

• apparati cardiovascolare e respiratorio: “dai 30 ai 65 anni la funzionalità respiratoria può ridursi del 40%, con difficoltà in lavori pesanti prolungati e/o in condizioni climatiche o microclimatiche severe; riduzione di portata cardiaca e di capacità massimale durante lo sforzo”;

• disturbi del sonno: “oltre i 50 anni esiste una riduzione quantitativa e qualitativa del sonno con alterazione dei ritmi-circadiani e regolazione del ritmo sonno-veglia. Vi è inoltre una maggiore difficoltà alla tolleranza dei turni notturni”;

• termoregolazione: “maggiori difficoltà nel mantenere la temperatura interna del nostro organismo in caso di variazione significativa della temperatura e degli altri parametri climatici o microclimatici esterni”;

• funzioni cognitive: “aumento dei tempi di reazione e riduzione della memoria a breve termine e dell’attenzione; minore tolleranza alla confusione; necessità di più tempo per pensare e imparare compiti; maggiore difficoltà ad imparare nuovi compiti, soprattutto se complessi; minor tolleranza ad adattarsi al cambiamento e possibile maggiore predisposizione allo stress lavoro correlato (gli studi su questo aspetto danno risultati controversi). Alcuni studi hanno dimostrato che le differenze nella resistenza allo stress sono maggiori tra individui che tra classi di età; a volte gli anziani (in buona salute) percepiscono meno stress dei giovani ma hanno maggiori difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti e maggiori preoccupazioni per la perdita del lavoro”;

• malattie: “aumenta l’incidenza e prevalenza di malattie cronico-degenerative (diabete, cardiopatie, tumori), spesso con coesistenza di due o più malattie”.

Ma che influenza hanno su questi fattori i parametri aggiuntivi esposti in premessa, relativi ai lavori usuranti, agli anni di attività e al genere?

Lavori usuranti

Premesso che a seconda delle caratteristiche fisiologiche del soggetto, il lavoro può essere comunque più o meno usurante, vediamo quindi quali possono essere le attività da annovere tra queste.

Per il decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67 “Accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma dell’articolo 1 della legge 4 novembre 2010, n. 183” e la legge 22 dicembre 2011, n. 214 “Conversione in legge, con modificazioni, del decretolegge 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” i lavori cosiddetti usuranti sono i seguenti:

• lavori svolti in gallerie, cave o miniere; i lavori svolti ad alte temperature; i lavori in cassoni ad aria compressa; i lavori nella catena di montaggio; i lavori svolti dai palombari; i lavori in spazi ristretti; le attività di asportazione dell’amianto; le attività di lavorazione del vetro cavo;

• lavoratori a turni che prestano la loro attività nel periodo notturno per almeno 6 ore non meno di 64 giorni lavorativi l’anno; i lavoratori che prestano la loro attività per almeno 3 ore tra la mezzanotte e le cinque del mattino per periodi di lavoro di durata pari all’intero anno lavorativo;

• lavoratori impegnati all’interno di un processo produttivo in serie, i lavoratori che svolgano attività con ripetizione costante dello stesso ciclo lavorativo, i lavoratori addetti al controllo computerizzato della produzione e al controllo qualità;

• conducenti di veicoli, di capienza complessiva non inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico.

Ai fini dell’accesso all’Ape sociale e all’anticipo pensionistico, per i lavoratori “precoci” la legge di stabilità 2017 (legge 232/2016) e successivamente la legge di stabilità 2018 (legge 205/17), hanno istituito nuove categorie di lavori particolarmente pesanti o gravosi:

• addetti alla concia di pelli e pellicce;

• addetti ai servizi di pulizia;

• addetti spostamento merci e/o facchini;

• conducenti di camion o mezzi pesanti in genere;

• conducenti treni e personale viaggiante in genere;

• guidatori di gru o macchinari per la perforazione nelle costruzioni;

• infermieri o ostetriche che operano su turni;

• maestre di asilo nido e scuola dell’infanzia;

• operai edili o manutentori di edifici;

• operatori ecologici e tutti coloro che si occupano di separare o raccogliere rifiuti;

• addetti all’assistenza di persone non autosufficienti;

• lavoratori marittimi;

• pescatori,

• operai agricoli;

• operai siderurgici.

Per tutte queste categorie, viene concesso il pensionamento anticipato in funzione al tempo di svolgimento dell’attività senza però fare distinzione di genere.

Il genere nel mondo del lavoro

Il problema del rapporto tra il lavoro e il genere femminile con riguardo all’invecchiamento deve tenere conto del fatto che le donne guadagnano mediamente il 23% di salario in meno rispetto alla stessa posizione occupata da un uomo e mediamente svolgono 2,5 ore al giorno non retribuite in faccende domestiche e nell’accudimento di casa e figli.

Inoltre, essendosi alzata l’aspettativa di vita, spesso si trovano a dover badare anche a genitori anziani.

Tutto ciò influisce sicuramente a livello di stress psicologico e può dunque interessare trasversalmente qualsiasi mansione la donna possa svolgere durante le ore lavorative.

Uno studio a cura di Silvana Salerno, ricercatrice Enea ha evidenziato che dal 2004 al 2008 c’è stata in Italia una perdita di 10 anni di vita sana nel genere femminile.

Alcuni autori si sono dilettati nel riassumere in tabelle gli studi condotti in merito, soprattutto in relazione allo sviluppo di malattie professionali in funzione del genere e il risultato ha evidenziato parecchi scostamenti percentuali tra un genere e l’altro, oltre che evidenziato la differenza di tempo impiegato da una donna rispetto ad un uomo per compiere la stessa mansione.

In taluni casi i minuti al giorno dedicati da una donna erano doppi rispetto all’uomo, in altri dimezzati. In funzione di questa esposizione all’attività le malattie correlat possono variare.

Il progressivo aumento dell’età media dei cittadini, assieme al miglioramento delle condizioni di salute nella terza e quarta età, impongono ai paesi più evoluti l’adozione di politiche sociali e soluzioni di welfare aziendale che siano di concreto sostegno alle persone in età avanzata e alle loro famiglie, per finanziare le quali, in tempi di contrazione delle risorse pubbliche, è necessario il miglioramento costante dei livelli di efficienza ed efficacia produttiva, che non possono prescindere dalla ricerca di soluzioni innovative in grado di favorire l’accrescimento dei margini economici.

Tutto ciò è tanto più vero per l’Italia, che da anni contende al Giappone il primato del paese con il maggior numero di centenari, con prevalenza di donne!

galleria di una miniera

(07/2018) D.P.R. 177/2011 E LE BUONEPRASSI PER LA SICUREZZA

di Adriano Paolo Bacchetta

Articolo pubblicato su “Il Commerci@lista lavoro e previdenza” di Luglio/Agosto 2018

Era il 26 ottobre 2011 quando, nell’aula Di Donato del Politecnico di Milano davanti a oltre 270 persone, si svolgeva il Primo Convegno Nazionale sulle attività negli Spazi Confinati (o ambienti sospetti di inquinamento o confinati come definiti dal d.p.r. 177/2011) dal titolo “Confined Space or Black Hole – Conoscere, valutare, gestire i rischi negli spazi confinati per non lavorare in un buco nero”. Scopo dichiarato dell’evento, era quello di creare le condizioni perché fosse possibile raccogliere e condividere l’esperienza dei portatori di reali conoscenze e interesse, in modo da poter identificare azioni efficaci e procedure operative da condividere e sviluppare grazie alla collaborazione di tutti. Da allora, ogni anno, l’evento è stato replicato e, attualmente, rappresenta uno degli strumenti più interessanti e fruibili per un pubblico ampio e diversificato, in quanto evento capace di portare all’attenzione degli operatori di settore, in maniera ragionata e coordinata, un insieme di esperienze consolidate a livello nazionale e internazionale nell’ambito di una sorta di vetrina facilmente consultabile
da un pubblico relativamente ampio di soggetti interessati.
Ma cos’è cambiato in relazione all’applicazione del d.p.r. 177/2011 da allora? Purtroppo, molto poco. Se ad esempio si considera che, ancora oggi, non è previsto un contesto legislativo
che disciplini in modo puntuale le attività d’informazione-formazione specificamente mirate alla conoscenza dei fattori di rischio propri delle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, (art. 2 C1 lettera d), e inoltre tenuto conto dell’indeterminazione ancora presente su molti aspetti applicativi del Decreto e i relativi dubbi e problemi per le imprese chiamate ad applicarlo, è ovvio concludere che c’è ancora molto lavoro da fare.
Fin dalla prima edizione del Convegno Nazionale, ho espresso la mia convinzione che per ridurre in futuro il ripetersi di questo tipo d’incidenti è necessario attingere all’esperienza di chi si è già dovuto confrontare operativamente con le problematiche delle attività negli “spazi confinati”, per definire strumenti concettuali e operativi adeguati per eseguire un’approfondita e corretta valutazione dei rischi, identificare un percorso di addestramento efficace, prevedere l’impiego di attrezzature idonee e pianificare gli scenari di emergenza codificando le operazioni da
porre in essere, anche riferendosi a quanto elaborato a livello internazionale che, purtroppo, risulta essere per lo più ancora scarsamente noto agli addetti. Ma poco di quanto sopra, purtroppo, risulta realmente applicato.
Ancora oggi c’è chi è alla ricerca di una metodica univoca che porti alla definizione puntuale di “ambiente sospetto di inquinamento o confinato” a prescindere da una specifica e precisa analisi e valutazione del rischio. Una sorta di sistema “ascisse/ ordinate” dove semplicemente ricercando l’intersezione delle linee tracciate parallelamente agli assi chiunque, anche con limitata esperienza sul tema, possa determinare se l’ambiente oggetto di analisi rientri, o meno, nel campo di applicazione del d.p.r. 177/2011. Ma, ovviamente, questo non risponde ad altro che alla ricerca di una mera applicazione formale del Decreto funzionale alla redazione di documentazione da poter presentare, in caso di verifica, ai funzionari degli Organi di vigilanza, prescindendo da un’effettiva ed efficace analisi delle attività previste e del contesto operativo in cui si è chiamati a operare. Bisogna, invece, iniziare dalla valutazione della conformazione strutturale di molti
luoghi di lavoro (serbatoi con passo d’uomo avente dimensioni limitate, vasche profonde con difficile accesso, ecc.), per arrivare all’individuazione di eventuali ulteriori rischi specifici associabili o prevedibili in funzione degli agenti chimici presenti e/o introdotti in funzione delle lavorazioni previste che, nel complesso, vadano ben oltre una semplice valutazione dei rischi standardizzata e non contestualizzata. Adottare un diverso percorso rappresenta, in generale, un grave errore. Diverse sono le fonti alle quali ci si può riferire per analizzare il problema specifico, basti pensare alle diverse Guidelines, Best Practices / Approved Code of Practice (ACOP), Indicazioni Operative, ecc. che sono disponibili. Molti di questi documenti, sebbene siano facilmente reperibili, devono essere correttamente interpretati e applicati considerando che non possono, né devono, costituire modalità operative semplicemente e direttamente replicabili ma, e soprattutto, devono portare chi ne applica i principi a definire un proprio schema di analisi tecnico/operativa approfondita dello specifico ambito oggetto di analisi.

E’, infatti, basilare contestualizzare la fase di analisi e individuazione delle misure di prevenzione/protezione rispetto alla legislazione cogente e alle norme di buona tecnica applicabili alla situazione operativa, attivando quei percorsi di critica costruttiva che, attraverso successivi passaggi di affinamento in grado di consentirne l’evoluzione, permettono di migliorare l’applicazione di una qualsiasi buona pratica. Infatti, quanto reperibile nel web, rappresenta certamente una utile fonte d’informazioni in grado di aiutare tutti i soggetti comunque interessati (datori di lavoro, supervisori e gli stessi lavoratori) a riconoscere i pericoli ponendo in essere adeguate misure di gestione e controllo del rischio e dei comportamenti individuali in
modo da proteggere la salute e la sicurezza di tutti i membri dell’organizzazione e per prevenire gli infortuni. Questo, però, solo se i principi e le informazioni ivi contenute sono interpretati e correttamente applicati. Inoltre, negli anni, le indicazioni ricevute a seguito di note ministeriali o risposte a interpelli, non hanno certo sgombrato il campo dai dubbi. L’obiettivo attuale è quello di consolidare le attività di una “comunità di pratica”, in grado di condividere tali informazioni così da poter elaborare una modalità operativa comune.
Le “comunità di pratica”, da anni si sono affermate nel mondo come aggregazioni informali composte da “attori” che condividono interessi e problematiche comuni per collaborare, promuovere, discutere e confrontarsi su questioni correlate ai diversi interessi dei componenti.
Diverse sono queste aggregazioni che sono nate in maniera spontanea, sorgendo intorno a specifiche tematiche e al proprio interno sono stati sviluppati fenomeni di solidarietà organizzativa verso i problemi. In questi contesti, infatti, i membri condividono scopi, saperi pratici, significati, linguaggi e, in questo modo, generano forme di organizzazione caratterizzate da tratti peculiari e distintivi.

Le comunità di pratica sono gruppi di persone che condividono un interesse, dei problemi o una passione per un argomento e che approfondiscono le proprie conoscenze e abilità interagendo ed evolvendo insieme” (Wenger; 1998).

Questo noto che “l’assetto istituzionale, fondato sull’organizzazione e circolazione delle informazioni, delle linee guida e delle buone pratiche, nasce dalla consapevolezza della necessaria conoscenza di informazioni e indicatori per definire priorità, per mirare azioni, per valutare risultati, ma anche ai fini generali
d’informazione, comunicazione, socializzazione delle conoscenze ed educazione alla sicurezza e alla salute
1”.

Ciò premesso, affermata sia l’importanza dell’attività di cooperazione, coordinamento e informazione reciproca delle imprese coinvolte, sia la necessità di verificare che la catena degli appalti e subappalti non porti aziende o lavoratori autonomi a eseguire attività per le quali non sono né preparati né attrezzati, la questione è una sola: la necessità di una valutazione dei rischi mirata e approfondita seguita da un addestramento specifico e dall’utilizzo di strumentazioni e attrezzature idonee sia per la sicurezza nelle attività ordinarie sia per gli scenari di emergenza ovviamente
codificando le operazioni da porre in essere in entrambe le situazioni. Oltre a quanto sopra, è però necessario anche attuare interventi che, oltre a rendere realmente efficaci le attività di informazione/formazione – addestramento, possano contribuire a neutralizzare o a ridurre al minimo il verificarsi di comportamenti caratterizzati da inosservanza di norme operative o regolamentari, o dal porre in essere comportamenti non conformi alle comuni pratiche di sicurezza, spostando l’attenzione di tutta l’organizzazione verso la condivisione diffusa dei “valori” della sicurezza.

1” Michele Tiraboschi, Lorenzo Fantini – Il testo unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (D.Lgs. n.106/2009), Edizioni 81-2008