L’importanza della concertazione con le Consulte/Federazioni degli Ingegneri

Il ruolo della figura professionale dell’ingegnere come fondamentale raccordo tra territorio, politica istituzionale e società

di Sergio Vianello

pubblicato su “Il Giornale dell’Ingegnere”, maggio 2021

Che ruolo svolge, oggi, una figura professionale altamente competente e specializzata come quella dell’ingegnere all’interno del territorio, della politica e della società? In questa analisi, prenderemo in considerazione la fondamentale opera organizzativa e concertativa operata dai professionisti – nel caso in esame lombardi, ma con un generale riferimento all’intero territorio nazionale – riuniti in Consulte e Federazioni, a servizio della collettività. Le Federazioni o Consulte degli Ingegneri sono organismi volontariamente costituiti dagli Ordini Provinciali dei professionisti appartenenti a una Regione – o, in caso di Federazioni Interregionali, da Ordini di Regioni confinanti – che svolgono attività di coordinamento, curando i rapporti con le istituzioni e la società civile a livello regionale, nonché apportando un prezioso contributo anche a livello nazionale.

In Italia, tutte le Regione dispongono di una Federazione o Consulta, eccezion fatta per Trentino Alto Adige e Molise.

In Lombardia esiste, dal lontano 1973, la CROIL – Consulta Regionale Ordini Ingegneri Lombardia, costituita dagli Ordini degli Ingegneri di tutte le province lombarde, organismo senza dubbio propedeutico sia allo sviluppo della categoria professionale che della collettività tutta.

Infatti, ritengo che sempre di più questi organismi, rappresentativi di migliaia di ingegneri sul territorio, debbano costituire un apporto essenziale sia alla politica di governo che alla società civile, fungendo da raccordo fra questi due “livelli”, mettendo a disposizione le conoscenze e competenze tecnico-organizzative di una figura professionale e qualificata qual è un “ingegnere”, in azioni di consulenza, nonché di strutturazione e condivisione di percorsi – ideali e pratici – al servizio del territorio e del suo necessario sviluppo e promozione.

UN MOMENTO ESSENZIALE DI COOPERAZIONE

In tal senso merita infatti una particolare considerazione, il rinnovato Protocollo d’intesa, siglato nel recente 2019, che ha definito la nuova collaborazione – iniziata nel 2012 – tra Regione Lombardia e la CROIL: un momento essenziale di cooperazione, nonché immagine determinante di una vera e propria “cabina di regia”, con l’intento di cercare sempre pi. il miglior raccordo e concertazione dei tavoli tecnici di entrambi gli organismi.

Infatti, si è voluto mettere al centro del dibattito temi di discussione di assoluta attualità, sui quali fare approfondimento e proporre strategie e soluzioni, quali: l’ambiente; la sostenibilità; l’energia; il territorio e la pianificazione; l’urbanistica; l’edilizia; la protezione civile; la sicurezza stradale; i trasporti e la mobilità; l’innovazione e la ricerca; le infrastrutture; la sicurezza sul lavoro; la formazione; la digitalizzazione e la semplificazione.

Anche in questo caso, il ruolo e il peso rilevante di questo insieme coordinato di professionisti si è dimostrato di indubbia importanza, considerando il dispiegamento di forze, di intenti e l’impegno portato avanti con dedizione ed esclusivamente con modalità del tutto volontarie.

Se le indagini da sempre affermano che gli ingegneri sono fra le categorie professionali pi. stimate, non è possibile, in questa sede, non sottolineare il loro ruolo determinante all’interno della società, attraverso la strutturazione di un aperto dialogo con le istituzioni e di una viva discussione, con l’avanzamento di proposte e il sollevamento di istanze e necessità, verso le quali la collettività non può certamente esimersi dal confrontarsi.

Tra gli eventi caldeggiati dalla Consulta possiamo, ad esempio, citare gli utili seminari per gli aggiornamenti e gli approfondimenti su temi tecnici ed economici per promuovere e tutelare la figura dell’ingegnere all’interno del proprio Ordine territoriale.

IL LAVORO DELLE COMMISSIONI

E’ importante sottolineare, inoltre, il lavoro fatto all’interno delle Commissioni per approfondire temi tecnici ed economici, al fine di promuovere, aggiornare e tutelare la figura dell’ingegnere. Tali attività concertative sono state sempre al centro dell’attività delle Commissioni, potendo dare testimonianza in prima persona, in quanto membro attivo della Consulta, nella prima e proficua esperienza che mi ha visto coinvolto nel ruolo di Coordinatore della Commissione Sicurezza Cantieri Mobili, di quanto le azioni di professionisti esperti come gli ingegneri possano offrire davvero un contributo determinante allo sviluppo e alla promozione del territorio e ai necessari studi e analisi su tematiche di primaria attualità, contribuendo a mantenere alti i riflettori su questioni che non tollerano, certamente, un “abbassamento della guardia”.

Ricordo, tra gli altri, il convegno promosso dalla mia commissione nel marzo 2020, con l’alto patrocinio della Regione Lombardia, sulla problematica delle “cadute dall’alto da tetti ed edifici condominiali” che ha visto impiegati mesi e mesi di lavoro, con più di 500 invitati, stakeholder di primaria importanza quali: Regione Lombardia, ATS e INAIL, Procura della Repubblica e svariati altri Ordini Professionali, e associazione di categoria, per fare il punto sulla situazione e avanzare, insieme a dubbi e perplessità, possibili ipotesi di dialogo e soluzioni (si veda Il Giornale dell’Ingegnere n.10/20 pag. 11, ndr.). Infatti, tante, troppe, volte abbiamo letto o ascoltato l’espressione “Tragica fatalità” usata per raccontare un incidente mortale sul lavoro. . difficile credere che le oltre 1000 persone decedute nel 2019 sul luogo di lavoro siano state vittime solo della malasorte, e parlare di “fatalità” sembra essere un modo per dare una spiegazione semplicistica, a buon mercato e lasciarsi frettolosamente l’accaduto alle spalle. La tragedia, invece, ha cause, nella quasi totalità dei casi, prevedibili e perciò prevenibili e soprattutto ha responsabilità molto spesso ben chiare e non trascurabili.

Purtroppo, la pandemia e il lockdown, nonostante l’impegnativa e alacre organizzazione intrapresa sotto la regia del Presidente CROIL, Augusto Allegrini, proprio a ridosso del suo inizio, ci siamo visti costretti a rimandare l’evento, mantenendo tuttavia, quale obiettivo primario, quello di continuare a fare ricerca sulle tematiche di questa spinosa e controversa questione, con una costante, precisa e puntuale ricognizione per la necessaria valorizzazione delle competenze in materia. In tal senso, si è cercato di sopperire, seppur parzialmente, ai disagi derivati dalla pandemia e all’impossibilità di svolgere il convegno in presenza, pianificando un secondo evento inerente alla medesima tematica e promosso dalla Consulta, nel novembre 2020, questa volta in webinar, al quale è comunque intervenuto un centinaio di autorevoli partecipanti.

Altra tematica discussa in Commissione è stata quella della assoluta necessità che l’industria edile si qualifichi e si professionalizzi sempre di più: infatti, è il caso di notare che per lo Stato basta recarsi da un notaio con un oggetto sociale, molto ampio, che prevede la possibilità di fare ponti, grandi strutture, autostrade, etc., ed . immediatamente possibile aprire una Partita IVA e operare sul mercato, magari senza la necessaria esperienza e competenza in quanto non richiesta, come ad esempio quella dovuta alle ditte impiantistiche o alle ditte di pulizia, disinfezione e/o sanificazione.

Per concludere, è fattuale che l’azione coordinata di “attori” poliedrici e preparati, quali sono gli ingegneri, con le loro competenze altamente professionali e trasversali, attraverso l’unione delle “forze”, possa dare impulso a procedimenti e azioni concrete per garantire la pi. sostanziale tutela degli interessi della categoria, agendo certamente d’intesa con gli Ordini degli Ingegneri territoriali e coordinandone azioni e attività, pur sempre nel rispetto della loro indiscutibile autonomia d’azione.

cantieri e gru

STRETTA CORRELAZIONE TRA DETRAZIONI FISCALI E INFORTUNI SUL LAVORO

Volevo iniziare quest’articolo con il macabro elenco dei morti sul lavoro, citando i più eclatanti. Avevo già trovato su internet i dati aggiornatissimi dell’INAIL in merito all’andamento infortunistico sul lavoro. Stavo anche per fare dei paragoni tra il periodo pre-Covid e l’attuale contingenza ma poi mi sono reso conto che è inutile citare ciò che i politicanti e tutti i media ci ricordano quotidianamente; dovrebbe essere arrivato il momento in cui non è più sufficiente indignarsi, occorrerebbe agire! Basta parole vuote che portano a poco o addirittura a nulla; occorre un impegno forte e deciso da parte soprattutto delle istituzioni che, in occasione di qualche infortunio che si presta alla spettacolarizzazione, ci dicono, mostrando vicinanza a tutti gli infortunati:

  • … bisogna puntare sul rispetto delle norme!
  • … è indispensabile coinvolgere di più degli attori della prevenzione!
  • … bisogna realizzare un vero e proprio patto per la sicurezza tra istituzioni e parti sociali!
  • … ci vuole maggiore sensibilizzazione sulle tematiche calde da parte di lavoratori e imprese!
  • … occorre rafforzare i controlli! 
  • … le sanzioni sono troppo basse!
  • ………

Senza falsa modestia, ritengo di avere una media intelligenza e una buona cultura, ma in sostanza: seguendo queste indicazioni, cosa si deve fare per migliorare la situazione che da decenni è immobile?

C’è stato il periodo pre-Covid in cui ci si infortunava di meno, ma bello sforzo! Abbiamo “soggiornato” per più di dieci anni in una delle più grandi crisi economiche e sociali del dopo guerra, con un sensibile calo dei posti di lavoro; nell’arco del decennio pre-Covid-19 sono stati persi quasi un milione di occupati.

È matematico: meno occupati meno infortuni!

Poi è arrivato il Covid e la maggior parte dei lavoratori non ha avuto la possibilità di recarsi al lavoro e quindi solo il comparto medico e para medico e pochi altri ha movimentato l’andamento degli infortuni e delle malattie professionali.

Non siamo ancora purtroppo nella fase post Covid; tuttavia, l’importante tasso di vaccinazioni e il green pass sta consentendo, salvo pochi casi, una ripresa quasi generalizzata di tutte le attività.

In edilizia, tutta un’altra cosa.

L’edilizia si è ufficialmente fermata solo in occasione del lockdown totale del marzo-aprile 2020, in quanto i famosi DPCM di quel periodo consentivano al comparto edile il prosieguo dell’attività lavorativa anche se con l’attuazione di specifici protocolli di sicurezza sanitaria (peraltro spesso poco percorribili per la realtà del cantiere e quindi mal attuati).

Poi sono arrivate le detrazioni fiscali che, pur preesistenti al periodo Covid, sfruttando la voglia irrefrenabile di ripresa e l’entusiasmo del comparto edilizio, stanno muovendo il settore come da decenni non accadeva: e qui arrivano ma soprattutto arriveranno i dolori, se non si interviene concretamente!!!!!!

Infatti, a differenza dei decenni passati, il crescente utilizzo degli incentivi fiscali, tra i quali il 110%, sta dando una svolta al settore con una stima media annua del numero di occupati di poco inferiore alle 400 mila unità.

È matematico: più occupati più infortuni!

I sintomi di quanto stia succedendo in tal senso sono già purtroppo evidenti (circa tre morti al giorno), ma il boom dei lavori nell’edilizia non è ancora arrivato; spero di essere cattivo profeta ma temo quello che potrebbe succedere a livello infortunistico la prossima primavera-estate!

Per porre argine alla catena ininterrotta di infortuni sul lavoro, lo scorso 21 ottobre 2021 il governo ha emanato il Decreto Legge n°146 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/10/21/21G00157/sg), dove, principalmente, da un lato il legislatore scommette sull’aumento degli ispettori, dall’altro sull’inasprimento delle sanzioni.

Ma è questa la molla che ci aiuterà a diminuire le morti bianche? Personalmente credo di no per i motivi che di seguito cerco di interpretare, indicando almeno qualche tematica irrisolta.

Aumentare le ispezioni ritengo non possa essere utile allo scopo di diminuire gli infortuni, bensì ad aumentare l’utilizzo dell’alibi che ormai è più che largamente utilizzato, che fa in più casi esclamare: un’altra tassa tra le tante!!!; sanno solo fare le multe a chi lavora!!!! è meglio pagare la multa che sottostare a tutte quelle inutili incombenze!!! …….

Tutto questo perché gli ispettori della sicurezza ASL (in Lombardia ATS) sono ufficiali di polizia giudiziaria e che quindi, nelle proprie ispezioni dei luoghi di lavoro, hanno l’obbligo di segnalare e sanzio­nare penalmente qualsiasi viola­zione del D.lgs. 81/08; e questo ai sensi di legge!

Gli ispettori ASL non possono fare prevenzione,come saprebbero fare in maniera qualificata, ma sono obbligati a sanzionare!!!

Spesso ce la prendiamo con gli ispettori perché ci irrogano multe che in molti casi riteniamo esagerate e ingiuste, ma è proprio per la loro funzione che sono obbligati a farlo; non possono sorvolare sulle inadempienze in quanto loro stessi assumerebbero una posizione di garanzia non dovuta. La loro posizione è la medesima di un qualsiasi carabiniere che, ai sensi dell’articolo 361 del C.P., in qualità di pubblico ufficiale, non può omettere o ritardare di denunciare alla autorità giudiziaria un qualsiasi reato.

E allora qual è la soluzione concreta? A mio parere si potrebbero utilizzare gli ispettori ASL/Poliziotti solo in caso di continuata inadempienza o per indagini sugli infortuni, e costituire delle strutture, come possono essere i CPT [Comitati Paritetici Territoriali, ndr.] oppure corpi sempre appartenenti all’ASL, ma che non abbiano funzione di polizia giudiziaria e che possano quindi rapportarsi con il datore di lavoro evidenziando le inadempienze riscontrate, affinché possa porvi rimedio nel breve periodo.

Se poi nel periodo di tempo assegnato non vengono sanate le lacune riscontrate, allora è corretto informare le autorità competenti, per le più opportune azioni. Sto dicendo, in so­stanza, che allo Stato manca un lavoro di supervisione a monte del lavoro sanzionatorio.

La scelta dei fornitori, nella maggior parte dei casi, viene fatta in base all’offerta economica del fornitore. Molto spesso il Committente, sia che sia l’imprenditore o la signora Maria, ignora che la legge impone, prima di scegliere la propria ditta appaltatrice, di verificarne la sua idoneità tecnica professionale (c.fr. art 26 e 90 D.Lgs. 81/08 e s.m.i).

La Cassazione ricorda in più occasioni che, peraltro, l’idoneità tecnico-professionale non può essere limitata al solo aspetto documentale ma “…scegliere l’appaltatore e più in genere il soggetto al quale affidare l’incarico, accertando che la persona, alla quale si rivolge, sia non soltanto munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge [formali], ma anche della capacità tecnica e professionale [sostanziale], proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa (…)” 

Pertanto, per quanto non sia possibile indicare in maniera puntuale e specifica le modalità di tale verifica da parte del soggetto obbligato, ciò che si richiede al datore di lavoro, che affidi lavori in appalto a imprese o a lavoratori autonomi, è di operare una verifica non solo formale ma seria e sostanziale (non realizzata solo in un’ottica economica) in ordine al possesso delle capacità professionali e della esperienza di coloro che sono chiamati ad operare nella azienda, nella unità produttiva o nel ciclo produttivo della medesima.

La competenza di una ditta alla quali si vuole affidare un appalto deve essere verificata prima di assegnare un appalto; la competenza deve andare oltre la semplice conoscenza, in quanto è l’insieme indissolubile delle conoscenze teoriche e dell’esperienza professionale maturata sul campo.

Nel settore edile, soprattutto in appalti modesti, magari di ristrutturazione di un appartamento o anche solo di un bagno, la verifica non viene fatta neppure formalmente; anzi, il committente ignora quasi sempre che per coordinare i lavori dal punto di vista della sicurezza, in caso in cui sia prevista la presenza di due o più imprese, la legge impone ai sensi dell’art. 90 comma 3 – 4 e 5 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. di nominare un professionista abilitato a svolgere le funzioni di coordinatore della sicurezza (art. 91 e 92 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i.).

In occasione di una semplice ristrutturazione di un appartamento, dovendo intervenire nell’opera utilizzando una ditta di muratura, di idraulica e di elettricisti (presenza di due o più imprese), quanti hanno nominato un professionista esterno per il coordinamento, obbligatorio per legge?

Quando si sta male, è automatico rivolgersi a un medico per un consulto e per la conseguente terapia. Molto spesso invece accade che per affrontare tematiche tecniche, che possono addirittura mettere in gioco più di una vita umana, ci si dimentica di chiedere aiuto a un professionista della sicurezza.

Alla stessa stregua quando si sceglie una impresa edile, che dovrà svolgere dei lavori che per definizione sono potenzialmente pericolosi, come si fa a non ricercarne una qualificata e competente che possa attuare tutte le misure di sicurezza in quanto conosciute?

In questa epoca di pandemia la parola sanificazione è tanto di moda, ma quanti sanno che per poter fare la sanificazione, una ditta si deve abilitare presso la Camera di Commercio come minimo alla letta A e alla lettera B oppure alla lettera E? Quanti sanno che per essere abilitati occorre avere nella propria organizzazione un professionista chimico?

Al contrario, per fare edilizia, non serve alcuna abilitazione: chiunque può fare impresa aprendo una partita IVA con l’oggetto sociale che magari preveda la costruzione di ponti, grandi strutture e centri commerciali!!!

Questo genere di problematica, per i committenti privati, si amplia all’ennesima potenza! Più di una volta la “signora Maria” è stata chiamata in causa per un infortunio accaduto ad un lavoratore non idoneo che ha affrontato un lavoro senza le obbligatorie misure di sicurezza.

E allora qual è la soluzione? Formare tutti i datori di lavoro in merito a queste tematiche che potranno finalmente essere estese anche al proprio ambito familiare, allorquando gli accada di dover chiamare “qualcuno” che ripari il proprio tetto o più semplicemente giri la sua antenna.

Infatti, allo stato il Committente DDL ignora la normativa e ritiene che basti affidare il lavoro ad una ditta esterna per non avere responsabilità sulla corretta esecuzione delle opere da eseguire in sicurezza.

Ritengo che prima di affidare un appalto edile, il committente debba accertare l’affidabilità della ditta appaltatrice, non solo richiedendo e verificando la documentazione obbligatoria di cui all’allegato XVII del D.lgs. 81/08 e s.m.i., ma anche ad esempio appurare la presenza o meno dei  seguenti requisiti:

  • volume d’affari pari ad almeno 3-4 volte il valore presunto dell’appalto (indice di affidabilità e solidità nel poter affrontare un lavoro di un determinato importo);
  • copertura R.C. assicurativa con massimali adeguati;
  • avere alle proprie dipendenze maestranze, come media annua dell’anno di riferimento, con un numero adeguato all’appalto (dato desumibile dal certificato della camera di commercio);
  • avere eseguito lavori analoghi a quelli in affidamento (documentati) negli ultimi due anni di attività (almeno una per anno);
  • eventuale sistema di gestione della sicurezza certificazione OSHAS;
  • eventuali certificazioni ISO, SOA a corredo dell’offerta.

Chi legge, molto probabilmente ha avuto l’occasione di dover utilizzare almeno una volta nella vita una ditta di muratura accompagnata da elettricisti, da idraulici e imbianchini; ebbene queste ditte rispecchiavano le caratteristiche sopra evidenziate ?

Lascio a Voi la risposta !!!!!!                                                 

Sergio Vianello

 Ordine degli Ingegneri di Milano

Osservatore esterno Commissione Lavoro ODCEC Milano

portatile e immagine mascherina

GREEN PASS NEI LUOGHI DI LAVORO E NUOVE REGOLE

È stata approvata la legge 19 novembre 2021, n. 165 che contiene delle modifiche sul controllo dei Green Pass nei luoghi di lavoro.

Di seguito le principali novità:

al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche del possesso del Green Pass, i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde. In questo caso, i lavoratori – se la certificazione non è scaduta e se risulta regolare – saranno esonerati dai controlli da parte dell’azienda per tutta la durata della relativa validità;

qualora la scadenza del Green Pass di un dipendente si collocasse nell’ambito della giornata lavorativa, quest’ultimo conserva il diritto di rimanere nel luogo di lavoro, al fine di completare l’attività che è tenuto a svolgere e non dà luogo alle sanzioni previste.

Sergio Vianello

“Per fare prevenzione bisogna partire dal datore di lavoro”

Ne è convinto Sergio Vianello, Coordinatore Commissione sicurezza cantieri CROIL, che lancia l’allarme: “Con il Superbonus 110% il numero degli infortuni è destinato ad aumentare”

di Sergio Vianello

pubblicato su “Il Giornale dell’Ingegnere”, ottobre 2021

Leonardo Perna, 72 anni, morto cadendo da un’impalcatura alta 2 metri. Un altro operaio morto dopo la caduta da un’impalcatura 5 metri in provinzia di Padova. E ancora, un muratore morto mentre ristrutturava una palazzina in provincia di Brindis; Giorgia Sergioi morta a soli 26 anni a gennaio caduta da una scala mentre puliva le vetrate di un bar per conto della ditta di pulizie per cui lavorava. E poi, Emanuele Zanin, 46 anni, e Jagdeep Singh, 42, morti all’Università Humanitas di Pieve Emanuele, nel Milanese, mentre caricavano una cisterna di azoto liquido. Tre morti ogni giorno, queste le stime di Inal che rileva 772 decessi al 31 di agosto. Secondo quanto riporta Inail: “Le denunce di infortunio sul lavoro presentate entro lo scorso mese di agosto sono state 349.449, oltre 27mila in più (+8,5%) rispetto alle 322.132 dei primi otto mesi del 2020, sintesi di un decremento delle denunce osservato nel trimestre gennaio-marzo (-11%) e di un incremento nel periodo aprile-agosto (+26%) nel confronto tra i due anni”. In base a quanto riportato dall’Osservatorio Nazionale Indipendente sulle morti sul lavoro, fino a ottobre 2021 si sono registrati 1192 morti complessivi per infortuni sul lavoro: 588 sono morti sui luoghi di lavoro, i rimanenti sulle strade e in itinere.

Le notizie che riguardano infortuni mortali sul lavoro sono all’ordine del giorno. Siamo di fronte a un’emergenza? “Gli infortuni ci sono sempre stati e ci saranno sempre, al netto dei periodi in cui l’attenzione mediatica sul tema della sicurezza sul lavoro è maggiore. Nel 2020 c’è stato un calo, per ovvi motivi – tra le chiusure dovute al Covid e la carenza di lavoro – ma in questi mesi è ragionevole attendersi un aumento, con la ripresa dell’economia e la spinta del Superbonus 110% in edilizia, che sta moltiplicando i cantieri”.

Come si può affrontare e risolvere il problema? “In primis intervenendo sui datori di lavoro per contrastare la crisi economica. Tutti sanno che la formazione sulla sicurezza è fondamentale per i lavoratori, e sono previste sanzioni per chi non la svolge adeguatamente; al contrario, non c’è una norma che regoli la formazione per datore di lavoro, che spesso vede la normativa soltanto come ‘un altro costo tra tanti’. Ci sono almeno due presupposti vitali per prevenire gli infortuni sul lavoro: il primo deriva dal fatto che il DDT, in molti casi, pur comportandosi nel rispetto della normativa, non conoscendo la normativa non conosce nemmeno i vantaggi che la normativa gli offre, come ad esempio quella di poter delegare al preposto la supervisione della sicurezza e, quindi, come in molti casi la giurisprudenza si è espressa, la sua posizione di garanzia.

Tutti i suoi lavoratori sono formati e informati per legge, Lui no ! Il secondo, forse il più importante e che comporta molti infortuni, è quello della mancata verifica dell’idoneità tecnica professionale delle ditte appaltatrici e dei lavoratori autonomi, prevista dagli articoli 26 e 90 del Testo Unico.

Infatti, in tanti casi il DDL ritiene che basti scegliere la ditta esecutrice solo in base al prezzo, scordandosi di verificare ciò che però è indispensabile: la sua competenza.

Per far lavorare un addetto su un tetto, non basta credere che lo sappia fare, occorre accertarsi che il soggetto sia formato, e soprattutto addestrato e qualora il Committente non sia in grado di determinarlo, deve rivolgersi al proprio RSPP che certamente sarà in grado di assisterlo e dargli le dovute indicazioni”.

Quindi una parte importante della responsabilità ricade sul committente? “Quando si sta male, è automatico rivolgersi a un medico per un consulto e per la conseguente terapia”.

Molto spesso, invece, accade che per affrontare tematiche tecniche, che possono addirittura mettere in gioco la vita umana, ci si dimentica di chiedere aiuto a un professionista della sicurezza. Le motivazioni sono molteplici, una su tutte è il fatto che il Committente DDL, come evidenziato prima, ignora la normativa e ritiene che basti affidare il lavoro a una ditta esterna per non avere responsabilità sulla corretta esecuzione delle opere da eseguire in sicurezza. È bene comunque ricordare che la verifica dell’idoneità tecnico-professionale non deve essere limitata al solo aspetto documentale infatti, la Cassazione ha più volte ribadito che, in materia di responsabilità, il committente di lavori dati in appalto deve adeguare la sua condotta a due fondamentali regole di diligenza e prudenza e cioè scegliere l’appaltatore e più in genere il soggetto al quale affidare l’incarico, accertandosi che la persona alla quale si rivolge sia non soltanto munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge (formali), ma anche della capacità tecnica e professionale (sostanziale) proporzionata al tipo di attività commissionata e alle concrete modalità di espletamento della stesse. Facciamo un esempio: In questa epoca di pandemia, la parola sanificazione è tanto di moda, ma quanti sanno che per poter fare la sanificazione una ditta deve abilitarsi alla Camera di Commercio come minimo alla letta A e alla lettera B, oppure alla lettera E? Quanti sanno che per essere abilitati occorre avere nella propria organizzazione un professionista chimico? Al contrario, per fare edilizia non serve alcuna abilitazione, chiunque può fare impresa aprendo una Partita IVA con l’oggetto sociale che, magari, preveda la costruzione di ponti, grandi strutture e centri commerciali!

Questo genere di problematica, per i committenti privati, si amplia all’ennesima potenza! Più di una volta la “signora Maria” è stata chiamata in causa per un infortunio accaduto a un lavoratore non idoneo, che ha affrontato un lavoro senza le obbligatorie misure di sicurezza”.

Con il Superbonus 110% si moltiplicano non solo i cantieri, ma anche le imprese edili che cercano di cogliere questa opportunità.

Pensa che queste problematiche aumenteranno nei prossimi mesi? “Enormemente. Negli ultimi anni gli infortuni sul lavoro sono diminuiti anche per la contrazione dell’economia. Ora le denunce sono in aumento, ma il boom dei lavori nell’edilizia non è ancora arrivato, bisognerà aspettare la primavera.

Ci saranno molte imprese “improvvisate”, e per questo bisognerà convincere i committenti a non prendere soltanto le ditte che contracostano meno, ma a sceglierle tra quelle capaci e affidabili”.

Questo però è un problema annoso.

Che cosa si può fare? “Oltre alla formazione del datore di lavoro, come ho già evidenziato, penso che le istituzioni debbano dare un indirizzo anche politico in merito. Aumentare le sanzioni e il numero degli ispettori delle ASL non è una risposta adeguata.
Occorre considerare che gli ispettori delle ASL sono ufficiali di polizia giudiziaria e che, quindi, nelle proprie ispezioni dei luoghi di lavoro, hanno l’obbligo di segnalare e sanzionare penalmente qualsiasi violazione dell’81/08, e questo ai sensi Legge! Gli ispettori ASL non possono fare prevenzione come saprebbero fare in maniera qualificata. Spesso ce la prendiamo con gli ispettori perché ci sanzionano, ma è proprio per la loro funzione che sono obbligati a farlo. Al contrario, a mio parere, servirebbe una struttura – come possono essere i CPT [Comitati Paritetici Territoriali, ndr.] – che non abbia funzione di polizia giudiziaria, e che possa rapportarsi con il datore di lavoro evidenziandogli le inadempienze riscontrati, dandogli consigli e indicando le inadempienze riscontrate affinché possa nel breve porvi rimedio. Se poi nel periodo di tempo assegnato non vengono sanate le lacune riscontrate, allora è corretto informare le autorità competenti, per le più opportune azioni. Sto dicendo, in sostanza, che manca un lavoro di supervisione a monte del lavoro sanzionatorio”.
Che ruolo possono avere gli Ordini professionali e l’UNI in questo quadro?
“L’Ordine degli Ingegneri, ad esempio, ha provato a muoversi nell’ambito della normazione, formando un gruppo di lavoro con il CNI al quale hanno partecipato tutti i rappresentanti degli Ordini d’Italia per stilare delle Linee Guida sul problema dell’anti-caduta; un lavoro che si era concretizzato anche in una proposta di legge, ma poi con il cambio di governo non se n’è fatto nulla. La possibilità di normare alcune tematiche, ad esempio quelle relative alle cadute dall’alto, è a mio parere fondamentale: la legislazione può essere carente su alcuni aspetti, non può coprire tutti gli ambiti, ed è qui che sopraggiungono le norme UNI. Con l’UNI ad esempio ho l’onore di partecipare a un gruppo di lavoro che ha il compito di determinare i profili dell’installatore di linee anti-caduta, affinché non ci si trovi nella condizioni di scegliere, come spesso succede, personale improvvisato e non qualificato per una funzione così importante”.

INFORTUNIO SUL LAVORO, CON PROGNOSI SUPERIORE A QUARANTA GIORNI

Di seguito è evidenziato il caso in cui un lavoratore, a seguito di un infortunio sul lavoro, abbia la “… incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni. “

Avuta la notizia dell’infortunio ad esempio dal pronto soccorso o a seguito di querela per infortunio sul lavoro,  la Polizia Giudiziaria[1] è obbligata ad intervenire nel luogo ove è accaduto l’incidente per acquisire le prime sommarie informazioni e redigendo un verbale di sopralluogo denominato S.I.T. (Sommarie Informazioni Testimoniali).

In una prima fase verificherà l’anagrafica della ditta dell’infortunato e il relativo organigramma verificando tutti gli adempimenti di legge (DVR, nomina RSPP e MC, deleghe, nomine, formazione, informazione, …); poi procederà all’identificazione dell’infortunato (dati anagrafici, mansioni, esperienze, formazione,…).     

Successivamente, ricostruirà le dinamiche, le circostanze e le modalità dell’infortunio, evidenziando eventuali articoli di legge e/o norme tecniche violate, individuando i possibili responsabili.

Il verbale dovrà essere obbligatoriamente inviato all’autorità giudiziaria (Pubblico Ministero), che nel corso delle indagini preliminari, con la collaborazione della Polizia Giudiziaria, acquisita la notizia di reato[2], svolge attività di ricerca delle prove necessarie ai fini dell’eventuale esercizio dell’Azione penale.

Al termine delle indagini preliminari il PM scioglierà le riserve e in alternativa:

  • potrà esercitare l’azione penale rinviando a giudizio l’imputato. È in questo preciso momento che  avviene l’iscrizione nel certificato dei carichi pendenti.
  • o chiedere l’archiviazione, qualora ritenga che il fatto non sussista (in un cero qual modo smentendo quanto ritenuto accertato nelle prime fasi d’indagini).

Durante le indagini i difensori della persona offesa e di quelli dell’indagato possono interloquire con il Pubblico Ministero, anche depositando memorie. Il difensore della persona offesa supporta le indagini del Pubblico Ministero svolgendo un ruolo quasi di affiancamento.

La fase di dibattimento è il momento in cui si forma la prova nel contraddittorio tra le parti (PM, Parte Civile e Imputato) di fronte ad un giudice terzo e imparziale: tribunale (monocratico o collegiale) o Corte d’assise. Accedono al dibattimento gli imputati che non abbiano chiesto un rito alternativo (patteggiamento[3]) o non siano stati prosciolti in udienza preliminare[4].


[1] Quasi sempre l’ASL ma ai sensi dell’art 457 del Codice di Procedura Penale anche gli Agenti di P.S., della Polizia Municipale, dei Carabinieri, dei Vigili del Fuoco, della Guardia di Finanza e gli ispettori INAIL

[2] L’informativa di PG (art. 347 Cpp), è una segnalazione con la quale la PG, acquisita la notizia di reato, comunica al PM in forma scritta e senza ritardo gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino a quel momento raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute. In gergo, spesso viene abbreviata con CNR, che sta per Comunicazione della Notizia di Reato

[3]Imputato e Pubblico Ministero concordano una pena e se il Giudice la ritiene congrua la ratifica con sentenza.

[4] Può essere necessaria una indagine preliminare tenuta dal GUP che è un magistrato che valuta l’idoneità degli elementi a sostenere l’accusa in giudizio nel contraddittorio delle parti (PM, eventuale parte civile, e difesa dell’imputato ma l’udienza è tenuta in camera di consiglio.

OBBLIGHI DI SICUREZZA A CARICO DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO

La legge 11 dicembre 2012 n. 220, ribadisce i principi per cui nell’unità di proprietà esclusiva, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni o che pregiudichino la stabilità, la sicurezza o il decoro architettonico dell’edificio.

Detta normativa aumenta i casi di responsabilità da custodia e definisce compiutamente l’Amministratore quale soggetto giuridico garante della sicurezza del condominio, inteso luogo di vita e di lavoro

L’Amministratore di condomino – ai sensi dell’art. 1130, primo comma, n. 4 cod. civ. – è titolare di un obbligo di garanzia in relazione alla conservazione delle parti comuni dell’edificio e che, con riguardo al reato colposo per condotta omissiva, la sua responsabilità va considerata e risolta nell’ambito dell’art. 40 cod. pen., secondo cui  «non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo», l’affermazione della colpevolezza di tale soggetto presuppone sia l’individuazione della condotta in concreto esigibile in relazione alla predetta posizione di garanzia, sia l’accertamento che, una volta posta in essere tale condotta, l’evento lesivo non si sarebbe verificato.

Per quanto attiene la sicurezza degli abitanti dello stabile, la violazione di questi obblighi può essere fonte sia di responsabilità civile (di natura contrattuale nei confronti del condominio, di natura extracontrattuale nei confronti dei terzi danneggiati), sia di responsabilità penale nel caso dell’insorgere di una situazione di pericolo, ad esempio ex art. 677 c.p. –  omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina – e anche se mentre una parte della Giurisprudenza ritiene che tale responsabilità ricada prioritariamente sull’Amministratore (Cass. pen., sez. I, 20 novembre 1996, Brizzi ed altro), altra parte della Giurisprudenza, più rigorosamente, ritiene che nel caso di mancata formazione della volontà assembleare, che consenta all’amministratore di adoperarsi al riguardo, sussista a carico del singolo condomino l’obbligo giuridico di rimuovere la situazione pericolosa, indipendentemente dall’attribuibilità al medesimo dell’origine della stessa (Cass. pen., sez. I, 13 aprile 2001, De Marco) o del verificarsi di eventi di danno (ad es. quello previsto dal combinato disposto degli artt. 434, 449 c.p. : crollo colposo di costruzioni).

Per quanto attiene alla sicurezza della popolazione residente e dell’ambiente, sarà attribuibile all’Amministratore il dovere di rispetto della loro salute ed integrità; ciò gli compete in base all’obbligo-principio del neminem laedere di cui all’art. 2043 del c.c..

Quanto sopra è peraltro ribadito dall’’art. 1130 c.c., che sancisce la legittimità dell’Amministratore a porre in essere, senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, gli “atti conservativi” miranti a tutelare l’integrità delle cose comuni (quando l’edificio sia minacciato dal punto di vista della stabilità, della sicurezza e del decoro architettonico) e ad erogare le spese per l’ordinaria manutenzione delle parti comuni e per l’esercizio dei servizi comuni. In caso d’urgenza, può anche ordinare lavori di manutenzione straordinaria con unico obbligo di riferire alla prima assemblea.

La sopra menzionata legge 11 dicembre 2012 n. 220 di riforma del condominio opera diretto riferimento alla problematica della sicurezza degli edifici e dei suoi abitanti in un numero notevole di norme.

L’art. 5, che riforma l’art. 1120 del codice civile, al comma 1 n. 2) sostiene che nel novero delle innovazioni vi sono anche: «1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti». L’art. 6, che riforma l’art. 1122, ora rubricato come «Opere su parti di proprietà o uso individuale» afferma: «Nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. In ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea».

Gli artt. 9 e 10, che sostituiscono gli artt. 1129 e 1130 del codice civile, affermano che è una grave irregolarità, la quale legittima i condomini a chiedere la convocazione dell’assemblea per fare cessare la violazione e revocare il mandato all’amministratore, l’omessa tenuta da parte di quest’ultimo del registro di anagrafe patrimoniale contenente ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza. Inoltre sempre l’art. 9 afferma: «Alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e a eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto a ulteriori compensi».

La motivazione per la quale l’Amministratore deve essere spinto a richiedere la verifica di cui si parla deriva inoltre dalla sentenza della Cassazione Penale, Sezione III, 17 giugno 2009 n. 25176, che ha specificato che in vista dell’esecuzione di un’opera che richiede competenze specifiche tra le quali il rispetto di regole tecniche,  se il committente si rivolge ad un esperto abilitato, è a quest’ultimo che incombe l’onere dell’osservanza di quelle disposizioni peculiari dell’arte e non è esigibile, da parte del committente, un dovere di vigilanza specifico circa l’osservanza di quelle normative proprie dell’esercizio di un’attività specialistica, per la quale, appunto, il committente ha dovuto affidare il lavoro ad un esperto

CADUTE DAI TETTI TRAGEDIE ANNUNCIATE

Mancato rispetto delle regole, superficialità, incompetenza, impreparazione e trascuratezza.

È questo il mix di ingredienti al quale è dovuta gran parte degli incidenti mortali sul lavoro. Uno scenario tragicamente “familiare” per chi opera in quota, lavorando su tetti e coperture di edifici costruiti e in costruzione. Tra il 2008 e il 2012, i dati raccolti dall’Inail hanno registrato una media di due vittime a settimana – cioè 535 persone – decedute a seguito delle lesioni riportate dopo una caduta. Nel 2019 gli incidenti mortali in quota hanno raggiunto il 32% degli oltre 1000 rilevati. 

Ma, posto che queste vite potevano essere risparmiate, di chi è la responsabilità?

La legge è chiara: in caso di incidente con infortunio o decesso (titolo IV campo I del 81/2008 e articolo 26 del TUS), l’amministratore di condominio (o in mancanza di esso chi ne fa le veci), quale responsabile, è chiamato a rispondere in sede penale di lesioni o addirittura omicidio colposo.

 Ciò significa che se stiamo valutando di effettuare degli interventi sui tetti di edifici che amministriamo o di nostra proprietà, siano essi condomini, villette o case vacanze, dobbiamo prima preoccuparci che vi siano le condizioni perché i lavoratori possano intervenire in totale sicurezza. 

Da dove cominciare? Il primo passo è quello di rivolgersi ad un professionista, che accerti che vi siano “linee vita”, sistemi di ancoraggio anti caduta, che la manutenzione dell’area interessata sia stata fatta con regolarità e che l’accesso al tetto sia regolamentato e consentito solo a personale autorizzato. In secondo luogo, è doveroso coinvolgere solo operatori qualificati, e non – per risparmiare – personale inesperto o non specializzato. 

Terzo ma non per importanza, è fondamentale che i soggetti coinvolti quali responsabili della sicurezza, siano al corrente delle possibili conseguenze di una caduta o del rimanere sospesi nel vuoto e abbiano le conoscenze necessarie per intervenire tempestivamente con manovre adeguate e chiamando i soccorsi. 

Per costruire o manutenere opere dove in gioco vi è la salvaguardia delle persone è necessario affidarsi a figure esperte, competenti e preparate che appartengono a ordini professionali in grado di garantire per loro. E in questo senso, il ruolo di ingegneri e architetti è insostituibile. 

Un concetto ribadito con decisione dall’articolo 36 del dpr 380/2001 quando dice: “ogni opera la cui stabilità possa comunque interessare l’incolumità delle persone, deve essere costruita in base ad un progetto esecutivo firmato da un ingegnere o da un architetto, comunque iscritto nell’albo, nei limiti delle proprie competenze stabilite dalle leggi sugli ordini e collegi professionali”.

Lavorare in quota comporta di per sé molti rischi, ma questi possono essere evitati o contenuti osservando le norme e prendendo le precauzioni necessarie. Prevenire tali incidenti mortali è possibile oltre che moralmente obbligatorio.

 STRETTA CORRELAZIONE TRA DETRAZIONI FISCALI E INFORTUNI SUL LAVORO 

di Sergio Vianello

pubblicato su “Il Giornale degli Ingegneri”, 21 dicembre 2020

 Volevo iniziare quest’articolo con il macabro elenco dei morti sul lavoro, citando i più eclatanti. Avevo già trovato su internet i dati aggiornatissimi dell’INAIL in merito all’andamento infortunistico sul lavoro. Stavo anche per fare dei paragoni tra il periodo pre-Covid e l’attuale contingenza ma poi mi sono reso conto che è inutile citare ciò che i politicanti e tutti i media ci ricordano quotidianamente; dovrebbe essere arrivato il momento in cui non è più sufficiente indignarsi, occorrerebbe agire! Basta parole vuote che portano a poco o addirittura a nulla; occorre un impegno forte e deciso da parte soprattutto delle istituzioni che, in occasione di qualche infortunio che si presta alla spettacolarizzazione, ci dicono, mostrando vicinanza a tutti gli infortunati: 

– … bisogna puntare sul rispetto delle norme! 

– … è indispensabile coinvolgere di più degli attori della prevenzione! 

… bisogna realizzare un vero e proprio patto per la sicurezza tra istituzioni e parti sociali! 

– … ci vuole maggiore sensibilizzazione sulle tematiche calde da parte di lavoratori e imprese! 

– … occorre rafforzare i controlli! 

– … le sanzioni sono troppo basse! 

– ……… 

Senza falsa modestia, ritengo di avere una media intelligenza e una buona cultura, ma in sostanza: seguendo queste indicazioni, cosa si deve fare per migliorare la situazione che da decenni è immobile? 

C’è stato il periodo pre-Covid in cui ci si infortunava di meno, ma bello sforzo! Abbiamo “soggiornato” per più di dieci anni in una delle più grandi crisi economiche e sociali del dopo guerra, con un sensibile calo dei posti di lavoro; nell’arco del decennio pre-Covid-19 sono stati persi quasi un milione di occupati. 

È matematico: meno occupati meno infortuni! 

Poi è arrivato il Covid e la maggior parte dei lavoratori non ha avuto la possibilità di recarsi al lavoro e quindi solo il comparto medico e para medico e pochi altri ha movimentato l’andamento degli infortuni e delle malattie professionali. 

Non siamo ancora purtroppo nella fase post Covid; tuttavia, l’importante tasso di vaccinazioni e il green pass sta consentendo, salvo pochi casi, una ripresa quasi generalizzata di tutte le attività. 

In edilizia, tutta un’altra cosa. 

L’edilizia si è ufficialmente fermata solo in occasione del lockdown totale del marzo-aprile 2020, in quanto i famosi DPCM di quel periodo consentivano al comparto edile il prosieguo dell’attività lavorativa anche se con l’attuazione di specifici protocolli di sicurezza sanitaria (peraltro spesso poco percorribili per la realtà del cantiere e quindi mal attuati). 

Poi sono arrivate le detrazioni fiscali che, pur preesistenti al periodo Covid, sfruttando la voglia irrefrenabile di ripresa e l’entusiasmo del comparto edilizio, stanno muovendo il settore come da decenni non accadeva: e qui arrivano ma soprattutto arriveranno i dolori, se non si interviene concretamente!!!!!! 

Infatti, a differenza dei decenni passati, il crescente utilizzo degli incentivi fiscali, tra i quali il 110%, sta dando una svolta al settore con una stima media annua del numero di occupati di poco inferiore alle 400 mila unità. 

È matematico: più occupati più infortuni! 

I sintomi di quanto stia succedendo in tal senso sono già purtroppo evidenti (circa tre morti al giorno), ma il boom dei lavori nell’edilizia non è ancora arrivato; spero di essere cattivo profeta ma temo quello che potrebbe succedere a livello infortunistico la prossima primavera-estate! 

Per porre argine alla catena ininterrotta di infortuni sul lavoro, lo scorso 21 ottobre 2021 il governo ha emanato il Decreto Legge n°146 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/10/21/21G00157/sg), dove, principalmente, da un lato il legislatore scommette sull’aumento degli ispettori, dall’altro sull’inasprimento delle sanzioni. 

Ma è questa la molla che ci aiuterà a diminuire le morti bianche? Personalmente credo di no per i motivi che di seguito cerco di interpretare, indicando almeno qualche tematica irrisolta. 

Aumentare le ispezioni ritengo non possa essere utile allo scopo di diminuire gli infortuni, bensì ad aumentare l’utilizzo dell’alibi che ormai è più che largamente utilizzato, che fa in più casi esclamare: un’altra tassa tra le tante!!!; sanno solo fare le multe a chi lavora!!!! è meglio pagare la multa che sottostare a tutte quelle inutili incombenze!!! ……. 

Tutto questo perché gli ispettori della sicurezza ASL (in Lombardia ATS) sono ufficiali di polizia giudiziaria e che quindi, nelle proprie ispezioni dei luoghi di lavoro, hanno l’obbligo di segnalare e sanzionare penalmente qualsiasi violazione del D.lgs. 81/08; e questo ai sensi di legge! 

Gli ispettori ASL non possono fare prevenzione, come saprebbero fare in maniera qualificata, ma sono obbligati a sanzionare!!! 

Spesso ce la prendiamo con gli ispettori perché ci irrogano multe che in molti casi riteniamo esagerate e ingiuste, ma è proprio per la loro funzione che sono obbligati a farlo; non possono sorvolare sulle inadempienze in quanto loro stessi assumerebbero una posizione di garanzia non dovuta. La loro posizione è la medesima di un qualsiasi carabiniere che, ai sensi dell’articolo 361 del C.P., in qualità di pubblico ufficiale, non può omettere o ritardare di denunciare alla autorità giudiziaria un qualsiasi reato. 

E allora qual è la soluzione concreta? A mio parere si potrebbero utilizzare gli ispettori ASL/Poliziotti solo in caso di continuata inadempienza o per indagini sugli infortuni, e costituire delle strutture, come possono essere i CPT [Comitati Paritetici Territoriali, ndr.] oppure corpi sempre appartenenti all’ASL, ma che non abbiano funzione di polizia giudiziaria e che possano quindi rapportarsi con il datore di lavoro evidenziando le inadempienze riscontrate, affinché possa porvi rimedio nel breve periodo. 

Se poi nel periodo di tempo assegnato non vengono sanate le lacune riscontrate, allora è corretto informare le autorità competenti, per le più opportune azioni. Sto dicendo, in sostanza, che allo Stato manca un lavoro di supervisione a monte del lavoro sanzionatorio. 

La scelta dei fornitori, nella maggior parte dei casi, viene fatta in base all’offerta economica del fornitore. Molto spesso il Committente, sia che sia l’imprenditore o la signora Maria, ignora che la legge impone, prima di scegliere la propria ditta appaltatrice, di verificarne la sua idoneità tecnica professionale (c.fr. art 26 e 90 D.Lgs. 81/08 e s.m.i). 

La Cassazione ricorda in più occasioni che, peraltro, l’idoneità tecnico-professionale non può essere limitata al solo aspetto documentale ma “…scegliere l’appaltatore e più in genere il soggetto al quale affidare l’incarico, accertando che la persona, alla quale si rivolge, sia non soltanto munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge [formali], ma anche della capacità tecnica e professionale [sostanziale], proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa (…)” 

Pertanto, per quanto non sia possibile indicare in maniera puntuale e specifica le modalità di tale verifica da parte del soggetto obbligato, ciò che si richiede al datore di lavoro, che affidi lavori in appalto a imprese o a lavoratori autonomi, è di operare una verifica non solo formale ma seria e sostanziale (non realizzata solo in un’ottica economica) in ordine al possesso delle capacità professionali e della esperienza di coloro che sono chiamati ad operare nella azienda, nella unità produttiva o nel ciclo produttivo della medesima. 

La competenza di una ditta alla quali si vuole affidare un appalto deve essere verificata prima di assegnare un appalto; la competenza deve andare oltre la semplice conoscenza, in quanto è l’insieme indissolubile delle conoscenze teoriche e dell’esperienza professionale maturata sul campo. 

Nel settore edile, soprattutto in appalti modesti, magari di ristrutturazione di un appartamento o anche solo di un bagno, la verifica non viene fatta neppure formalmente; anzi, il committente ignora quasi sempre che per coordinare i lavori dal punto di vista della sicurezza, in caso in cui sia prevista la presenza di due o più imprese, la legge impone ai sensi dell’art. 90 comma 3 – 4 e 5 del 

D.Lgs. 81/08 e s.m.i. di nominare un professionista abilitato a svolgere le funzioni di coordinatore della sicurezza (art. 91 e 92 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i.). 

In occasione di una semplice ristrutturazione di un appartamento, dovendo intervenire nell’opera utilizzando una ditta di muratura, di idraulica e di elettricisti (presenza di due o più imprese), quanti hanno nominato un professionista esterno per il coordinamento, obbligatorio per legge? 

Quando si sta male, è automatico rivolgersi a un medico per un consulto e per la conseguente terapia. Molto spesso invece accade che per affrontare tematiche tecniche, che possono addirittura mettere in gioco più di una vita umana, ci si dimentica di chiedere aiuto a un professionista della sicurezza. 

Alla stessa stregua quando si sceglie una impresa edile, che dovrà svolgere dei lavori che per definizione sono potenzialmente pericolosi, come si fa a non ricercarne una qualificata e competente che possa attuare tutte le misure di sicurezza in quanto conosciute? 

In questa epoca di pandemia la parola sanificazione è tanto di moda, ma quanti sanno che per poter fare la sanificazione, una ditta si deve abilitare presso la Camera di Commercio come minimo alla letta A e alla lettera B oppure alla lettera E? Quanti sanno che per essere abilitati occorre avere nella propria organizzazione un professionista chimico? 

Al contrario, per fare edilizia, non serve alcuna abilitazione: chiunque può fare impresa aprendo una partita IVA con l’oggetto sociale che magari preveda la costruzione di ponti, grandi strutture e centri commerciali!!! 

Questo genere di problematica, per i committenti privati, si amplia all’ennesima potenza! Più di una volta la “signora Maria” è stata chiamata in causa per un infortunio accaduto ad un lavoratore non idoneo che ha affrontato un lavoro senza le obbligatorie misure di sicurezza. 

E allora qual è la soluzione? Formare tutti i datori di lavoro in merito a queste tematiche che potranno finalmente essere estese anche al proprio ambito familiare, allorquando gli accada di dover chiamare “qualcuno” che ripari il proprio tetto o più semplicemente giri la sua antenna. 

Infatti, allo stato il Committente DDL ignora la normativa e ritiene che basti affidare il lavoro ad una ditta esterna per non avere responsabilità sulla corretta esecuzione delle opere da eseguire in sicurezza. 

Ritengo che prima di affidare un appalto edile, il committente debba accertare l’affidabilità della ditta appaltatrice, non solo richiedendo e verificando la documentazione obbligatoria di cui all’allegato XVII del D.lgs. 81/08 e s.m.i., ma anche ad esempio appurare la presenza o meno dei seguenti requisiti: 

✓ volume d’affari pari ad almeno 3-4 volte il valore presunto dell’appalto (indice di affidabilità e solidità nel poter affrontare un lavoro di un determinato importo); 

✓ copertura R.C. assicurativa con massimali adeguati; 

✓ avere alle proprie dipendenze maestranze, come media annua dell’anno di riferimento, con un numero adeguato all’appalto (dato desumibile dal certificato della camera di commercio)

✓ avere eseguito lavori analoghi a quelli in affidamento (documentati) negli ultimi due anni di attività (almeno una per anno); 

✓ eventuale sistema di gestione della sicurezza certificazione OSHAS; 

✓ eventuali certificazioni ISO, SOA a corredo dell’offerta. 

Chi legge, molto probabilmente ha avuto l’occasione di dover utilizzare almeno una volta nella vita una ditta di muratura accompagnata da elettricisti, da idraulici e imbianchini; ebbene queste ditte rispecchiavano le caratteristiche sopra evidenziate ? 

Lascio a Voi la risposta !!!!!! 

SICUREZZA – LA RESPONSABILITA’ NEL PROCESSO EDILIZIO

di Sergio Vianello

pubblicato su “Il Commerci@lista lavoro e previdenza”, novembre 2019

Sempre più spesso in occasione delle ristrutturazioni di appartamenti, le persone si affidano esclusivamente alla valutazione di preventivi emessi da imprese che li redigono con un loro capitolato, sulla base di sommarie indicazioni fornitegli, sovente, come espressione di desideri latenti che però tecnicamente il committente, se tecnico non è, non è in grado di descrivere come vorrebbe.

Di solito, supponendo di comprendere quanto esposto nei preventivi ricevuti e basandosi quasi esclusivamente su quanto verbalmente riferito dall’impresa in fase di ricezione dell’offerta, l’ignaro committente sceglie quasi sempre l’impresa che costa di meno oppure quella che si sa “vendere” meglio.

È appena il caso di far notare che, anche nella ristrutturazione di un semplice bagno, sono necessari sia adempimenti di natura legislativa che altri, non meno importanti, di semplice opportunità.

Per introdurre la tematica ritengo utile richiamare alcuni aspetti del problema propedeutici all’argomento.

Il testo di riferimento per tutti i lavori edili è il Testo Unico dell’Edilizia (T.U.E.), DPR 380/2001 e s.m.i. il quale specifica che gli unici interventi edilizi che non richiedono un titolo abilitativo (quello che un tempo era chiamato -concessione edilizia-) sono gli interventi di manutenzione ordinaria o di rifinitura, cioè gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti (es. : opere di imbiancatura, di rifacimento pavimenti e/o rivestimenti, di diversa disposizione dei sanitari o la sostituzione della vasca con una doccia …).

Tradotto vuol dire: a casa tua fai quello che vuoi, ma sappi che se ti succede qualcosa sono fatti tuoi!

Infatti, in tema di sicurezza nelle attività edili, il titolo abilitativo non è fattore discriminante; anche una attività “libera”, cioè che non necessita di titolo abilitativo, nella stragrande maggioranza dei casi è soggetta al titolo IV de d.lgs. 81/2008 – (testo unico della sicurezza) cantieri temporanei mobili -.

Nella salute e sicurezza sul lavoro, la posizione di garanzia (responsabilità penale) è detenuta dal datore di lavoro/committente, che è il soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata. Egli può delegare però le sue responsabilità in materia di sicurezza al responsabile dei lavori ma, se non lo fa, deve essere ben chiaro che diventa proprio lui il responsabile dei lavori, cioè la figura che, già nelle fasi di progettazione dell’opera, deve attenersi ai principi e alle misure di sicurezza stabiliti dalla legge.

Volendo fare un esempio che possa risultare significativo a quanto sopra espresso, proviamo a prendere in considerazione il caso di un operaio che, senza indossare il prescritto casco di protezione, intento a lavorare in un appartamento, venga colpito in testa da un mattone caduto dal soffitto: ebbene la responsabilità penale ricade senza dubbio, così come acclarato più volte nelle sentenze di cassazione, sul responsabile dei lavori/committente, per non aver vigilato sul comportamento del lavoratore, nonostante questi abbia compiuto un gesto d’imperizia, negligente o imprudente.

Sempre in merito alle responsabilità del datore di lavoro/responsabile dei lavori, è bene ricordare che egli ha il preciso onere di scegliere imprese che possano dimostrare la loro idoneità tecnica professionale ai sensi degli articoli 26 e 90 del d.Lgs. 81/2008; in caso contrario, qualora si dovesse infortunare un lavoratore di una impresa che non possieda tali requisiti, la posizione di garanzia e quindi la responsabilità penale non può che ricadere sul datore di lavoro/responsabile dei lavori che ha omesso tale fondamentale adempimento.

La legge viene però in aiuto al datore di lavoro/responsabile dei lavori, infatti, ai punti 91 e 92 del d.Lgs. 81/2008 prevede l’obbligo di nomina di un tecnico specializzato in sicurezza per coordinare le attività edili chiamato rispettivamente: coordinatore della sicurezza in fase di progettazione (CSP) e coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione (CSE). Il CSP in alcuni casi può non essere necessario (lavori privati di modesta entità con importo inferiore a 100.000 euro); il CSE, è invece sempre obbligatorio qualora l’appalto sia eseguito da almeno due imprese (es.: muratore con elettricista o con l’idraulico).

Se gli adempimenti di sicurezza in attività libere sono obbligatori, a maggior ragione lo sono in quelle attività per le quali il DPR 380/2001 (testo unico dell’edilizia) prevede l’ottenimento di specifici titoli abilitativi.

I titoli abilitativi maggiormente significativi sono i seguenti:

1. cila – comunicazione inizio lavori asseverata;

2. scia – segnalazione certificata di inizio attività;

3. pdc – permesso di costruire.

La cila si deve utilizzare ad esempio per lo spostamento di tramezzi e porte, salvo che gli interventi non interessino parti strutturali e non vi sia un aumento delle unità immobiliari.

La scia si deve utilizzare per gli interventi di manutenzione straordinaria, cioè quelle opere che riguardano le parti strutturali dell’edificio, oppure la realizzazione o l’integrazione di servizi igienico-sanitari e tecnologici, oppure il frazionamento o l’accorpamento di unità immobiliari distinte.

Il pdc è richiesto invece per opere maggiori, quali ad esempio quelle di nuova costruzione o che comportano lavori che mutino in tutto o in parte l’organismo edilizio o ancora che modifichino la volumetria, ….

Per le autorizzazioni di queste opere soggette a titolo abilitativo, è indispensabile indicare:

• il titolare del titolo abilitativo;

• il committente;

• la ditta affidataria;

• il progettista delle opere architettoniche;

• il direttore dei lavori delle opere architettoniche;

• il progettista delle opere strutturali (se esistono);

• il direttore dei lavori delle opere strutturali (se esistono).

Il titolare del titolo abilitativo, ovvero il committente e il costruttore, sono responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica e alle previsioni del piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del titolo abilitativo e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo.

Riguardo le funzioni del direttore lavori vi è abbondate giurisprudenza che ben ne specifica le mansioni, ma in breve egli è il soggetto che da una parte è fiduciario del Committente per gli aspetti di carattere tecnico, e dall’altra parte è garante nei confronti del Comune dell’osservanza e del rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all’esecuzione dei lavori.

Il Direttore Lavori come precedentemente specificato, è indispensabile per qualsiasi richiesta di titolo abilitativo, ma potrebbe non essere chiamato in causa nelle attività edili libere che pertanto sono soggette al solo controllo del committente, ammesso che ne abbia la competenza.

Sembrerebbe inutile sottolineare che il Direttore Lavori debba essere nominato/pagato dal committente/responsabile dei lavori, ma molto spesso questa fondamentale figura tecnica è “ricompresa” nel prezzo dei preventivi delle imprese, con un chiaro e netto conflitto di interessi.

In conclusione, occorre non sottovalutare gli appalti di opere edili, sia quelli di considerevole entità tecnica ed economica che quelli di natura minore. Infatti tante sono le sentenze di condanna penale che sono state emesse nei confronti dell’ignara “signora Maria” che si era trovata, da sola, a gestire opere edili in occasione di un infortunio; come tante sono le vertenze civili tra imprese e committenti trovati da soli a controllare imprese non idonee o che semplicemente non avevano interpretato sufficientemente i desideri del committente.

EDILIZIA – UNA ATTIVITÀ LASCIATA ALLO SBANDO

di Sergio vianello

pubblicato su “Il Commerci@lista lavoro e previdenza”, luglio 2019

Alto indice infortunistico

L’edilizia di per sé si caratterizza come un settore con un’elevata presenza di malattie professionali e con il più alto indice infortunistico, spesso di casi mortali. Una tendenza che, pur decrescendo, continua ad essere rilevante; secondo i dati Inail del 2018 si è passati dai 109 decessi del 2013 agli 80 del 2017.

Rilevante è il rischio derivante dal lavoro “in quota”; le cadute dall’alto rappresentano, infatti, un terzo degli infortuni nell’edilizia, nello specifico da tetti o coperture, da scale o ponteggi, da parti in quota di un edificio (balconi, terrazzi etc.) e da macchine da sollevamento.

Per lavorare su ponteggi o tetti è richiesta non solo esperienza e prudenza, ma anche una condizione fisico-psichica ottimale; questo significa avere un corpo allenato, agile, forte, libero da dolori o da limitazioni dovute al naturale passare degli anni o a patologie sopravvenute nel tempo.

Un comportamento che dovrebbe riguardare innanzitutto il buonsenso e la logica e che, tuttavia, non viene quasi mai messo in pratica o rispettato. Ogni giorno, in cantieri di diverse dimensioni, lavoratori anziani mettono a repentaglio la propria incolumità continuando a svolgere mansioni che dovrebbero essere appannaggio solo di individui più giovani.

Invecchiamento della forza lavoro

Qual è la ragione del perdurare di questo continuo stato di rischio? Non esistono leggi o norme che tutelino queste categorie di lavoratori, magari agevolandone il pensionamento? La risposta la troviamo dell’articolo 1, commi da 179 a 186, della legge di bilancio 2017 (legge 11 dicembre 2016 n. 232) che ha introdotto l’istituto della Ape sociale, previsto in via sperimentale per gli anni 2017 e 2018 poi esteso al 2019 dal d.l. 4/2019.

Nelle undici categorie professionali di lavoratori dipendenti che svolgono mansioni gravose definite dalla normativa, sono ricomprese anche l’edilizia e la manutenzione degli edifici. I lavoratori che svolgono attività gravose hanno facoltà di chiedere l’Ape sociale a condizione che abbiano “raggiunto il sessantatreesimo anno di età unitamente ad almeno 30 o 36 anni di contributi”, oppure possono avvalersi della pensione anticipata al raggiungimento di 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica a condizione, però, di aver maturato almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del diciannovesimo anno di età (lavoratori precoci) e di aver svolto attività “gravosa” per almeno 7 anni negli ultimi 10 di attività lavorativa o 6 anni negli ultimi 7.

Vi sono tuttavia due importanti discriminanti.

La prima è che l’accesso ai benefici sopra elencati resta ancorato a un vincolo di bilancio annualmente stabilito determinando, qualora le risorse finanziarie non siano disponibili, il posticipo della data di decorrenza del beneficio.

La seconda riguarda la limitazione ai soli lavoratori dipendenti del riconoscimento dell’attività gravosa escludendo i lavoratori autonomi ivi compresi gli artigiani per i quali nulla è previsto. Se si considera che nei cantieri lavorano in percentuale preponderante proprio gli autonomi, il problema connesso all’andamento infortunistico “in quota” si aggrava. Idraulici, muratori, manovali, elettricisti, serramentisti, gessisti e altre figure professionali, sono i lavoratori non inquadrati come dipendenti che si alternano in un cantiere durante le diverse fasi della costruzione. Sono un esercito di persone spesso prive di tutele, senza obbligo di formazione e sorveglianza sanitaria, carente di informazioni e addestramento e che lavorano in subappalto o talvolta addirittura senza un regolare contratto, magari in nero.

Lavoratori autonomi

Trattasi di lavoratori – titolari di ditte individuali – che non dispongono di paracaduti sociali e assistenze nel caso di malattie temporanee o inidoneità a determinate mansioni, derivanti da una delle numerose e probabili malattie professionali che possono colpire chi opera nell’ambito edilizio con l’avanzare dell’età.

Spesso nei cantieri si incontrano individui “costretti” a lavorare anche in caso di difficoltà e non perfetta forma fisica, con tutte le conseguenze negative che ciò può comportare.

Non solo, in uno scenario come quello sopra rappresentato va considerato un ulteriore elemento di criticità. Nessun lavoratore “edile” può in nessun caso usufruire delle agevolazioni pensionistiche previste dal decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67 “Accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma dell’articolo 1 della legge 4 novembre 2010, n. 183” per quei lavori definiti “usuranti”, le attività edili, infatti, non rientrano – in maniera sorprendente – in nessuna delle tipologie previste dalla legge.

Possibili soluzioni

Quale soluzione può essere adottata per rendere più tutelato chi lavora nell’edilizia? Mutare completamente la situazione in tempi brevi è utopistico. Tuttavia, si possono mettere in pratica alcuni correttivi in grado di migliorare le condizioni lavorative di chi opera in questo ambito.

Il primo è, per l’appunto, far rientrare tra i lavori “usuranti” l’attività edile già riconosciuta come “gravosa”.

Il secondo potrebbe riguardare l’obbligatorietà della formazione, specie in materia di sicurezza e sorveglianza sanitaria anche per i lavoratori autonomi.

Il terzo – a parere dello scrivente il più importante – potrebbe essere l’introduzione di requisiti professionali obbligatori certificati, per tutti coloro che operano in un cantiere. Oggi purtroppo non è richiesta alcuna specifica competenza e chiunque, senza la minima preparazione o conoscenza tecnica, può operare in ambito edile come lavoratore autonomo e proporsi sul mercato.

Si potrebbe mutuare la normativa adottata per tutte le imprese operanti nell’ambito impiantistico, le quali, per operare e rilasciare la famosa “Dichiarazione di Conformità”, devono necessariamente ottenere dalla C.C.I.A.A. l’apposita abilitazione che si consegue anche attraverso il riconoscimento delle pregresse esperienze e professionalità.

Quanto sopra proposto potrebbe non essere la soluzione delle problematiche connesse all’elevato rischio infortunistico in ambito edilizio soprattutto per quel che concerne il lavoro “in quota”, ma sicuramente si limiterebbe l’improvvisazione che molto spesso causa infortuni evitabili solo con la consapevolezza e conoscenza di questa difficile attività, spesso frutto di passaggi generazionali tra padri e figli.