(05/2021) EDILIZIA, UN’ATTIVITA’ LASCIATA ALLO SBANDO
I rischi e le possibili soluzioni a tutela dei lavoratori di un settore tradizionalmente caratterizzato da un alto indice infortunistico
Di Sergio Vianello
Il contributo intende offrire una panoramica sui rischi connessi all’attività lavorativa in un settore, quello dell’edilizia, caratterizzato storicamente da un’elevata presenza di malattie professionali e da un alto indice infortunistico.
Alto indice infortunistico
L’edilizia, già di per sé si caratterizza come un ambito con un’elevata presenza di malattie professionali e con il più alto indice infortunistico. Spesso di casi mortali. Una tendenza che, pur decrescendo, non ha smesso di essere rilevante: si è passati dai 109 decessi del 2013 agli 80 del 2017 (dati INAIL 2018).
Basti pensare al rischio derivante dal lavoro in quota. Le cadute dall’alto rappresentano, infatti, un terzo degli infortuni nell’edilizia; nello specifico da tetti o coperture, da scale o ponteggi, da parti in quota di un edificio (balconi, terrazzi etc.) e da macchine da sollevamento.
Per lavorare su ponteggi o tetti è richiesta non solo esperienza e prudenza, ma anche una condizione fisicopsichica ottimale; il che significa avere un corpo allenato, agile, forte, libero da dolori o da limitazioni dovute al naturale passare degli anni o a patologie sopravvenute nel tempo.
Un comportamento che dovrebbe riguardare innanzitutto il buonsenso e la logica e che, tuttavia, non viene quasi mai messo in pratica o rispettato. Ogni giorno, in cantieri di diverse dimensioni, lavoratori anziani mettono a repentaglio la propria incolumità continuando a svolgere mansioni che dovrebbero essere appannaggio solo di individui più giovani.
Invecchiamento della forza lavoro
Qual è la ragione del perdurare di questo continuo stato di rischio? Non esistono leggi o norme che tutelino queste categorie di lavoratori, magari agevolandone il pensionamento?
Tra le undici categorie professionali di lavoratori dipendenti definite dalla normativa, c’è quella dell’edilizia e della manutenzione degli edifici. Infatti, a seguito del D.lgs. 4/2019, le categorie di lavoratori con attività gravose hanno facoltà di chiedere l’APE sociale (“se hanno raggiunto il sessantatreesimo anno di età unitamente ad almeno 30 o 36 anni di contributi”), oppure la possibilità di ritirarsi con la pensione anticipata al raggiungimento di 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica a condizione, pero, di vantare almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del diciannovesimo anno di età.
Vi sono tuttavia due importanti discriminanti.
La prima è che l’accesso ai benefici sopra elencati resta ancorato a un vincolo di bilancio annualmente stabilito; ovvero: se vi sono le risorse finanziarie è possibile, altrimenti vi è il posticipo della data di decorrenza del beneficio.
La seconda è che l’accesso a queste forme di prepensionamento resta valido solo per i lavoratori dipendenti.
Per gli autonomi e gli artigiani, invece, non è previsto nulla di simile. E questa limitazione, in un certo senso, aggrava il problema considerando che nei cantieri lavorano in percentuale preponderante proprio gli autonomi.
Idraulici, muratori, manovali, elettricisti, serramentisti, gessatori e altri: sono molti i professionisti non inquadrati come dipendenti che si alternano in un cantiere durante le diverse fasi della costruzione: un esercito di persone spesso privo di tutele, senza obbligo di formazione e sorveglianza sanitaria, carente di informazione e addestramento e che lavora in subappalto o talvolta senza un regolare contratto, magari in nero.
Lavoratori autonomi
Trattasi di lavoratori – proprietari di ditte individuali o detentori di partite IVA – che non dispongono di paracadute sociali e supporti nel caso di malattia temporanea o inidoneità a certe mansioni, derivante da una delle numerose e probabili malattie professionali che possono colpire con l’avanzare dell’età.
Individui “costretti” a lavorare anche in caso di difficoltà e non perfetta forma fisica, con tutte le conseguenze negative
che ciò può comportare.
Non solo, in una tale situazione va aggiunto un ulteriore elemento di criticità.
Nessun lavoratore “edile” può in nessun caso usufruire delle agevolazioni pensionistiche previste dal D.lgs 67/2011 per quei lavori definiti “usuranti”, non rientrando – in maniera sorprendente – in nessuna delle tipologie previste dalla legge.
Possibili soluzioni
Quindi, quale soluzione per rendere più tutelato chi lavora nell’edilizia? Mutare completamente la situazione in tempi brevi è utopistico. Tuttavia, si possono mettere in pratica alcuni correttivi in grado di migliorare la condizione di chi vive di edilizia.
Il primo è, per l’appunto, far rientrare il lavoratore fra coloro che svolgono occupazioni “usuranti”.
Il secondo potrebbe riguardare l’obbligatorietà della formazione, specie in materia di sicurezza e sorveglianza sanitaria.
Il terzo – a parere dello scrivente il più importante – potrebbe riferirsi a una professionalizzazione obbligatoria di coloro che in un cantiere operano. Cosa che oggi purtroppo non avviene: chiunque, senza la minima preparazione o conoscenza tecnica, può aprire una ditta edile e proporsi sul mercato.
Infatti, basta recarsi da un notaio con un oggetto sociale magari molto ampio che prevede la possibilità di fare ponti, grandi strutture, autostrade, ecc., e immediatamente è possibile aprire una partita IVA e operare sul mercato !!!
Si potrebbe a questo punto prendere spunto dalla normativa adottata per tutte le ditte impiantistiche, per le quali per operare e rilasciare la famosa “Dichiarazione di Conformità” è indispensabile ottenere dalla C.C.I.A.A. il riconoscimento delle pregresse esperienze e professionalità1.
Non dico che questa soluzione sia la panacea delle problematiche sopra esposte (tante ditte impiantistiche, ad esempio gli elettricisti, gli antennisti, ecc., operano lo stesso senza questo fondamentale requisito in barba alla normativa e sfruttando “l’ignoranza” del cliente che giustappunto “ignora” !!!), ma sicuramente si limiterebbe l’improvvisazione che molto spesso causa infortuni evitabili solo con la consapevolezza e conoscenza di questa difficile attività, spesso frutto di esperienze tramandate da padre in figlio.
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